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BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI
VOLUME LXXXIV - 1975
GIANNINI EDITORE NAPOLI 1976
NORME PER LA STAMPA DI NOTE NEL BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ
Art. 1. — La stampa delle note è subordinata all'approvazione da parte del Comitato di Redazione che è costituito dal Presidente del Consiglio direttivo, dai quattro Consiglieri e dal Redattore delle Pubblicazioni. Il Comitato di Redazione qualora lo giudichi necessario ha facoltà di chiedere il parere consultivo di altri, anche non soci.
Art. 2. — I testi delle note devono essere consegnati, dattiloscritti al Redattore nella stessa Tornata o Assemblea in lui vengono comunicati. Solo per gli allegati (figure, carte, tavole, ecc.) è consentita la deroga dalla presente disposizione, ma fino ad un mese dalla data di presentazione della nota. Trascorso tale periodo s'intende scaduto il diritto per la stampa e la nota deve essere ripresentata in altra Tornata o Assemblea.
Art. 3. — Ogni anno i soci hanno diritto a 16 pagine di stampa, gratuite, o al loro equivalente, oltre a 50 estratti senza copertina. Tale diritto non è cedibile né cumulabile.
Art. 4. — Con le prime bozze, la Tipografia invierà al Redattore il preventivo di spesa per la stampa nel Bollettino e per gli estratti, questi lo comunicherà all'Autore per la parte di spesa che lo riguarda.
Art. 5. — L'Autore restituirà con le prime bozze, gli originali ed il preventivo di spesa per la stampa, sottoscritto per conferma ed accettazione, indicando il numero di estratti a pagamento desiderati, l'indirizzo a cui dovrà essere fatta la spedizione e l’intestazione della fattura relativa alle spese di stampa del periodico e degli estratti. Nel caso che l'ordine provenga da un Istituto Universitario o da altro Ente, l'ordine deve essere sottoscritto dal Direttore.
Art. 6. — Modifiche ed aggiunte apportate agli originali nel corso della correzione delle bozze (correzione d'Autore), comportano un aggravio di spesa, specialmente quando richiedono la ricomposizione di lunghi tratti del testo o spostamenti nell’impaginazione. Tali spese saranno addebitate all'Autore.
Art. 7. — Le bozze devono essere restituite al Redattore entro 15 giorni. Il ritardo comporta lo spostamento della nota relativa nell'ordine di stampa sul Bollettino; per questo motivo la numerazione delle pagine sarà provvisoria anche nelle ultime bozze e quella definitiva sarà apposta su esse a cura e sotto la responsabilità della Tipografia.
Art. 8. — A cura del Redattore, in calce ad ogni lavoro sarà indicata: la data di consegna effettiva del dattiloscritto e la data di restituzione delle ultime bozze.
Art. 9. — Al fine di facilitare il computo dell’estensione della composizione tipografica dei lavori è necessario che il testo venga presentato dattiloscritto in cartelle di 25 righe, ciascuna con 60 battute.
Art. 10. — L’Autore indicherà in calce al dattiloscritto l’Istituto o l’Ente presso cui il lavoro è stato compiuto e l’eventuale Ente finanziatore della stampa e delle ricerche.
Art. 11. — Le note saranno accompagnate da due riassunti, da cui si possa ricavare chiaramente parte sostanziale del lavoro. Uno dei due riassunti sarà in italiano e l'altro preferibilmente in inglese.
Art. 12. — Vengono ammesse alla pubblicazione sul Bollettino anche Note d’Autori non soci, purché presentate da due soci e preventivamente sottoposte per l’approvazione al Comitato di Redazione. La stampa di tali Note sarà a totale carico degli Autori.
Art. 13. — I caratteri disponibili per la stampa sono i seguenti : maiuscolo E
maiuscoletto: . . , corsivo - , tondo; in corpo 10 e corpo 8. L’Autore potrà
avanzare proposte mediante le sottolineature convenzionali prima riportate. La scelta definitiva dei caratteri è di competenza del Redattore.
Art. 14. — Nel dattiloscritto, si raccomanda di indicare con doppia sottolineatura (maiuscoletto) i nomi degli Autori e con la sottolineatura semplice (corsivo) i titoli dei lavori nella bibliografia, i nomi scientifici latini ed i termini stranieri.
Art. 15. — Le illustrazioni che corredano il testo saranno accompagnate da brevi esaurienti didascalie nelle stesse lingue dei riassunti.
BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI
VOLUME LXXXIV - 1975
GIANNINI EDITORE NAPOLI 1976
SOCIETÀ DEI NATURALISTI IN NAPOLI
VIA MEZZOCANNONE, 8
CONSIGLIO DIRETTIVO BIENNIO 1976-77
Prof. Pio Vittozzi |
- Presidente |
Prof. Aldo Napoletano |
- Vice-Presidente |
Prof. Antonio Rodriquez |
- Segretario |
Prof. Gennaro Corrado |
- Vice-Segretario |
Dott. Angiolo Pierantoni |
- Tesoriere |
Prof. Pietro Battaglini |
- Bibliotecario |
Dott. Giorgio Matteucig |
- Redattore delle pubblicazioni |
Prof. Giuseppe Caputo |
- Consigliere |
Prof. Piero De Castro |
- Consigliere |
Prof. Arturo Palombi |
- Consigliere |
Prof. Tullio Pescatore |
- Consigliere |
Hanno contribuito alla stampa di questo volume:
La Presidenza del Consiglio dei Ministri Il Ministero della Pubblica Istruzione Il Banco di Napoli
COMITATO DI REDAZIONE DELLE PUBBLICAZIONI
È costituito dal Presidente, dal Redattore delle pubblicazioni e dai quattro Consiglieri, ma si avvale, quando lo ritiene più opportuno, della consulenza scientifica di particolari competenti italiani o stranieri.
ORESTE PELLEGRINI
Il 15 febbraio 1975 è immaturamente scomparso il Prof. Oreste Pellegrini, ordinario di Botanica, nostro amico e consocio.
Era nato a Napoli il 2 marzo 1921 e nella nostra Università si era laureato in Scienze naturali.
Oreste Pellegrini svolse la sua attività scientifica inizialmente presso il Centro di Biologia del C.N.R. con sede alla Stazione zoologica di Napoli e, a partire dal 1949, prima come assistente e poi come aiuto, presso l'Istituto di Botanica della nostra Facoltà di Scienze. Dal 1960 al 1964
4 Commemorazione
tenne per incarico il corso di Fisiologia vegetale per gli studenti di Far¬ macia e fu anche incaricato di Botanica generale e sistematica presso l’Istituto Superiore Pontificio di Scienze e Lettere di S. Chiara. Nel 1964 si trasferì a Messina avendo ottenuto l'incarico deH’insegnamento di Bota¬ nica e della direzione dell’Istituto ed Orto botanico di quella Università.
Professore di ruolo di Botanica nel 1967, restò ancora per sei anni a Messina dove continuò a svolgere una intensa ed apprezzata attività le¬ gando, tra l'altro, il suo nome alla realizzazione del nuovo Istituto botanico.
Pur legato ai suoi collaboratori e benvoluto da tutti per le sue doti di studioso e di uomo, approfittò volentieri dell’occasione che gli si offriva per ritornare nella sua Napoli, che tanto amava, nell'Istituto di Botanica donde era partito e dove appunto venne chiamato sulla seconda cattedra di Botanica con voto unanime della Facoltà di Scienze a partire dal 1° novembre 1973.
A Napoli, ritrovatosi in un Istituto ormai tanto diverso per dimensioni da quello che aveva lasciato, si inserì, come era suo costume, garbatamente e silenziosamente, facendosi presto apprezzare per la sua preparazione ma anche per il suo tatto e la sua equanimità. Cosicché, dopo appena un anno, essendosi resa vacante la direzione dell'Istituto, sembrò a tutti ovvio che la scelta dovesse cadere su di lui; e la proposta di nomina a direttore dell’Istituto attendeva ormai solo la ratifica della Facoltà quando il male, che aveva logorato lentamente ed a lungo negli anni la sua salute, si manifestò con improvvisa violenza in tutta la sua gravità portandolo nel giro di poche settimane alla tomba.
Il Prof. Oreste Pellegrini ha lasciato una quarantina di lavori. La sua produzione scientifica, seria e rigorosa, riguarda diversi campi della Botanica.
Di notevole interesse i lavori che toccano l’embriologia e la embrio¬ genesi con particolare riguardo all'organizzazione e nutrizione dell’em¬ brione di varie piante. Un gruppo di lavori è dedicato alla sessualità, argomento inizialmente affrontato su materiale zoologico. Altri interes¬ santi contributi riguardano la citotassonomia e la fisiologia vegetale.
Il gruppo più importante e rappresentativo dei lavori del prof. O. Pellegrini è quello che riferisce sugli studi di morfologia sperimentale condotti con attenta ed affinata tecnica microchirurgica. Le sue ricerche sulle prospettive morfogenetiche in primordi fogliari chirurgicamente iso¬ lati, sul determinismo morfogenetico delle gemme ascellari e sul compor¬ tamento dei meristemi radicali gli meritarono lusinghieri apprezzamenti internazionali e numerose citazioni trattatistiche.
Oreste Pellegrino 5
La morte ha purtroppo interrotto, a poco più di cinquanta anni, un’attività che ancora tanto prometteva alla scienza ed aH'insegnamento. Ma è soprattutto la mancanza di lui che sentiremo a lungo. Chi, in qualche maniera, ha avuto consuetudine con Oreste Pellegrini ricorda che egli fu maestro non solo di scienza ma anche di semplicità nel costume, di concordia nel comune lavoro, di comprensione verso colleghi e collabora¬ tori, di pazienza nelle avversità e nella sofferenza. Aveva vivo il senso dell’amicizia ed era soprattutto buono, di una bontà vera, senza formule e senza infingimenti.
Il vuoto da lui lasciato tra amici e colleghi non sarà tanto facilmente e presto colmato.
Giuseppe Caputo (*)
\
(*) Istituto di Botanica della Facoltà di Scienze dell’Università - Via Foria, 223 - Napoli (80137).
ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI DI ORESTE PELLEGRINI
1948 - Ricerche statistiche sulla sessualità di Patella coerulea L. Boll, di Zoo¬
logia, 15, pp. 115-121.
1949 - Ermafroditismo proterandrico in Calyptraea chinensis L. Boll, di Zoologia,
16, pp. 49-59.
1951 - Successione delle fasi sessuali in una popolazione di Calyptraea chinensis L. Scientia genetica, 4, pp. 21-29.
1951 - La genesi dei rami laterali studiata alla luce della teoria fogliare. Delpinoa,
4, pp. 1-64. (In coll, con G. Catalano e A. Merola).
1952 - Affinità sistematiche fra Pruneae e Leguminosae dimostrate dai tessuti
omologhi dei pericarpi. Delpinoa, 5, pp. 1-44.
1954 - Ricerche embriologiche sulla famiglia delle Caesalpinaceae: lo sviluppo dell’endosperma e dell’embrione in Cassia acutifolia Del. Delpinoa, 7, pp. 138-160.
1954 - I primi stadi dello sviluppo embrionale in Cardiospermum hirsutum Willd.
Delpinoa, 7, pp. 1-20.
1955 - Particolare formazione austoriale di natura endospermica e comporta¬
mento delle antipode in Laurus nobilis L. Delpinoa, 8, pp. 155-162.
1955 - Le leggi dello sviluppo embrionale in Cardiospermum hirsutum Willd. (Sapindaceae) . Delpinoa, 8, pp. 1-11.
1955 - Lo sviluppo embrionale in Koelreuteria paniculata Laxm. (Sapindaceae).
Delpinoa, 8, pp. 185-194.
1956 - Il differenziamento del procambio e l’organizzazione dell’ epicotile nell’em¬
briogenesi di alcune dicotiledoni. Delpinoa, 9, pp. 97-129.
1956 - Osservazioni sull’endosperma di Leucaena glauca Benth. (Mimosaceae).
Delpinoa, 9, pp. 183-188.
1957 - Esperimenti chirurgici sul comportamento del meristema radicale di Pha-
seolus vulgaris L. Delpinoa, 10, pp. 187-199.
1957 - Studio ed interpretazione di alcune anomalie cotiledonari in piantale di Dianthus caryophyllus L. Delpinoa, 10, pp. 121-140.
1957 - Rapporti fra cotiledoni e disposizione delle prime foglie dell’ epicotile. Delpinoa, 10, pp. 155-167.
1957 - Poliembrionia e « cleavage polyembryony » in Araucaria bidwillii Hook. Delpinoa, 10, pp. 201-205.
1957 - Osservazioni sull’origine e sul significato dell’epifisi. Delpinoa, 10, pp.
207-211.
1958 - Studio sulla poliembrionia di Araucaria bidwillii Hook. Delpinoa, 11,
pp. 261-286.
1959 - Esperimenti microchirurgici sul funzionamento del meristema apicale dei
germogli di Phaseolus vulgaris L. Delpinoa, n.s., 1, pp. 205-230.
Oreste Pellegrino 7
1960 - Sviluppo di germogli sperimentalmente indotto in primordi fogliari indiffe¬
renziati. Annali Pont. Ist. Sup. Scienze e Lettere S. Chiara di Napoli, 10, pp. 271-274.
1961 - Modificazione delle prospettive morfo genetiche in primordi fogliari chirur¬
gicamente isolati dal meristema apicale del germoglio. Delpinoa, n.s., 3,
pp. 1-12.
1961 - Effetti dell’acido gibberellico sull’accrescimento e lo sviluppo dei propaguli di Lunularia cruciata (L.) Dum. Delpinoa, n.s., 3, pp. 217-224.
1961 - Frammentazione sperimentale dei primordi fogliari e loro « proprietà rego- lative » nella morfogenesi della foglia. Delpinoa, n.s., 3, pp. 239-244.
1961 - Andromonoicismo, aspetti morfo-isi alogici delle diverse condizioni sessuali
e loro significato nei fiori di Laurus nobilis L. Delpinoa, n.s., 3, pp. 245-257.
1962 - Influenza morfogenetica del primordio fogliare nella genesi della gemma
ascellare. Delpinoa, n.s., 4, pp. 225-232.
1963 - Fenomeni di regolazione nei meristemi apicali. Giorn. Bot. Ital., 70,
pp. 603-608.
1963 - Esperimenti sulla determinazione del procambio nei meristemi apicali dei germogli. Delpinoa, n.s., 5, pp. 17-24.
1963 - Dati citotassonomici su alcune specie italiane di Astragalus della sezione
Tragacantha. Delpinoa, n.s., 5, pp. 1-8.
1963 - Esperimenti sul determinismo morfogenetico della gemma ascellare in
Phaseolus vulgaris L. Delpinoa, n.s., 5, pp. 22-42.
1964 - Origine dei centri morfogenetici nel corso del differenziamento embrionale
delle dicotiledoni. Delpinoa, n.s., 6, pp. 25-34. (In coll, con R. Rosso).
1965 - Esperimenti sulle capacità organizzative del centro morfogenetico radicale
frammentato e coltivato in vitro. Delpinoa, n.s., 7, pp. 35-39. (In coll, con G. Gangemi).
1965 - Problemi della rigenerazione e dinamica dell’organizzazione nelle Cormofite. Delpinoa, n.s., 7, pp. 107-137.
1967 - Nel centenario della morte di Guglielmo Gasparini (1803-1866). Atti Ist.
Bot. Univ. Pavia, 3, pp. 219-231.
1968 - Origine e sviluppo dei centri morfogenetici nell’ embriogenesi di Laurus
nobilis L. Delpinoa, n.s., 10, pp. 49-54. (In coll, con R. Rosso).
1968 - Origine ed organizzazione del meristema della radice primaria nell’organo¬
genesi di Laurus nobilis L. Delpinoa, n.s., 10, pp. 55-62.
1969 - Accrescimento in superficie del meristema apicale del germoglio studiato
col metodo delle micropunture. Delpinoa, n.s., 11, pp. 73-78.
1971 - Effetti morfogenetici della rimozione del meristema periferico nella riorga¬ nizzazione del germoglio di Phaseolus coccineus L. Delpinoa, n.s., 13, pp. 1-9. (In coll, con M. Rossetto) .
1971 - Il ruolo dei vari territori embrionali dell’apice vegetativo nella morfogenesi del germoglio delle piante vascolari. Delpinoa, n.s., 13, pp. 29-103.
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In memoria del Socio Giuseppe Fadda
Il 12 giugno del corrente anno, il Socio Giuseppe Fadda ha lasciato nel dolore più cocente la Famiglia alla quale aveva dedicato le cure più assidue ed affettuose e nel cordoglio più vivo gli amici fra i quali il sottoscritto che lo ebbe Collega negli ultimi anni di permanenza nel Ministero della Pubblica Istruzione.
Laureato in Scienze naturali nell’Università di Cagliari, Giuseppe Fadda fu per 4 anni, dal 1922 al 1925, assistente presso la cattedra di Zoologia di Cagliari tenuta da Giglio-Tos e durante quel periodo, nel quale fu anche incaricato dell'insegnamento della Biologia, pubblicò una ventina di lavori sulla meccanica dello sviluppo e sul comportamento di alcuni animali fra i quali V Artemia salina di Cagliari.
La consistente e qualificata produzione scientifica contribuì a fargli vincere il concorso per l’insegnamento delle Scienze naturali nei Licei. Nella Scuola, percorse tutti i gradi della gerarchia: Professore, Preside, Provveditore agli studi, Ispettore centrale del Ministero. Anche durante questo periodo scolastico non tralasciò gli studi come lo attesta il lavoro di antropologia pubblicato nel 1961. Il periodo però in cui rifulsero le Sue qualità di ottimo amministratore e di oculato politico va dal 1952 al 1957 durante il quale, nella Sua qualità di Provveditore agli Studi, fu a capo dell'Ufficio dell’Educazione presso il Governo militare alleato del Territorio libero di Trieste. Il settore in cui si trovò ad operare era molto delicato per i naturali riflessi politici che assumevano gli affari amministrativi ma il Fadda, sempre rimanendo nell’ambito della più stretta legalità e ricono¬ scendo le fondamentali esigenze della minoranza slovena, riuscì a regolare situazioni del tutto ingiustificate riportando l’ordine e la normalità negli Uffici e nelle Scuole, frenando, con serenità e fermezza, pretese eccessive ed istanze destituite di fondamento da qualsiasi parte venissero proposte.
Col ritorno dell'Amministrazione italiana a Trieste, venne nominato Direttore della Pubblica Istruzione col compito di trattare gli affari, coor¬ dinare i servizi e vigilare su tutti gli Enti scolastici e culturali del Terri¬ torio. L’apprezzamento lusinghiero per tale servizio lo fece chiamare, nel 1958, al Ministero ove fu destinato alla Direzione Generale delle Zone di confine e degli Scambi culturali con l'Estero. Nel 1963, fu nominato Ispet¬ tore centrale ed assegnato alla Direzione Generale del Personale.
10 Commemorazione
Solerte, ma sempre calmo, sbrigava le pratiche a Lui affidate senza affanno né agitazione e sul Suo tavolo di lavoro al Ministero non ho mai visto giacente una pratica se non per quel tempo assolutamente indispen¬ sabile. Con affettuosa memoria ricordo la Sua affabilità e le Sue doti di gentiluomo.
Nel 1961 ; un anno prima che io lasciassi il Ministero, volle affidarmi la domanda a socio di questo Sodalizio che io ben volentieri consegnai al Presidente del tempo Prof. D’Erasmo il quale fu lieto di accoglierla e presentarla all’Assemblea dei Soci conoscendo ed apprezzando il Fadda, Suo buon Amico.
Nella I guerra mondiale Giuseppe Fadda fu ufficiale combattente deco¬ rato della Medaglia d’argento e della Croce al merito di guerra. Nel 1969, fu nominato Cavaliere di Vittorio Veneto.
Le Sue benemerenze ebbero pieno riconoscimento e prova ne sia il conferimento di vari attestati tra i quali quello della medaglia d'oro per i benemeriti della Scuola, della Cultura e dell'Arte e la nomina a Commendatore e a Grande Ufficiale della Repubblica Italiana.
La Sua vita attiva e feconda non ebbe soste: collocato a riposo nel 1968, per raggiunti limiti di età, si ritirò nella Sua terra d'origine e, a Macomer, fu Consigliere comunale e Presidente del Consiglio di ammini¬ strazione dell'Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri.
Al caro Estinto, al quale mi legavano vincoli di affettuosa amicizia vada, col più vivo e sincero rimpianto, il mio riverente e commosso pen¬ siero ed alla Famiglia tutta, restata nel dolore, il mio cordoglio più vivo.
Arturo Palombi
In memoria del Socio Ester Majo
Signori Consoci,
è per me motivo di viva commozione dover commemorare la Consocia prof. Ester Majo venuta a mancare il 24 giugno scorso. Il mio turbamento deriva soprattutto dal ricordo di Chi mi fu capace guida nei lontani anni dei miei studi universitari.
La Prof. E. Majo fu ammessa a far parte di questo autorevole Sodalizio il 4 febbraio 1923 e, come Voi ricorderete, le fu recentemente conferita la medaglia-ricordo per il compimento dei cinquanta anni di appartenenza al nostro Ente.
La Majo, nata a Napoli il 10 luglio 1895, giovanissima conseguì la laurea in Fisica presso questa Università e, successivamente, a breve distanza, nel 1921, la libera docenza in Geografia fisica.
Fu per molti anni assistente presso l'Istituto di Fisica terrestre, diretto prima dal Prof. G. B. Rizzo e poi dal Prof. G. Imbò, due insigni maestri.
La Majo si dedicò con passione all'attività didattica, accompagnandola, con molto profitto, a quella di ricerca, come testimoniano le circa 70 pubblicazioni.
Il Suo interesse per la ricerca scientifica La portò ad occuparsi di quasi tutte le componenti la fisica terrestre, in particolare della fisica dell' atmosfera, per la parte più bassa, la troposfera, come dimostrano i Suoi numerosi lavori su di essa. Varie memorie dedicò alla zona flegrea, ove le Sue misure della conducibilità elettrica e della ionizzazione dell'aria, in conseguenza di una spiccata radioattività esistente nella zona, apporta¬ rono un valido contributo alla conoscenza delle locali condizioni elettriche dell'aria. Lo studio dei raggi gamma emessi dal tufo flegreo, effettuato nella grotta della Sibilla, completarono la ricerca, che si concluse, poi, con le misure di radioattività estesa all’area di Napoli e di altre zone del Golfo.
Eravamo negli anni tra il 1927 ed il 1928 in cui l’Istituto di Fisica Ter¬ restre, sotto la illuminata direzione del Prof. Rizzo, si occupava di ricerche sull’elettricità atmosferica; studi che furono, poi, proseguiti in Roma, presso l'Istituto di Fisica dell'Atmosfera, dal compianto prof. E. Medi.
Ma in quel periodo la grotta della Sibilla non stimolò solo l’interesse di un fisico, qual era la Majo, ma anche, e in collaborazione, quella di
12 Commemorazione
un archeologo, il prof. Majuri, della Soprintendenza ai Monumenti, che curò una ricerca sull'origine e l’ipotizzabile impiego delle ampie sale ricavate nel tufo.
Un campo particolare di studio fu, per la Majo, la climatologia del¬ l'area di Napoli e di altre città. Alcuni lavori denotano una approfondita conoscenza di procedimenti statistici di perequazione.
Fra le Sue pubblicazioni spiccano alcuni lavori di sismologia, per esempio, quelli riferentisi al terremoto irpino del 23 luglio 1930 e sui fenomeni geofisici susseguenti ad esso. Ma la Sua predilezione per la zona flegrea La riportò successivamente negli stessi luoghi per studiare il bradisismo e le sue influenze sulle zone limitrofe.
Dall’alto del terrazzo, sovrastante l'Istituto di Fisica Terrestre, la veduta dell’ampio golfo col suo mare azzurro non potè non destare nella prof. Majo il desiderio di impegnarsi in un nuovo campo di ricerche; così fu spinta a misurare il potere rifrangente e la conducibilità elettrica dell'acqua marina del Golfo e la sua trasparenza, misurata ad alta quota.
Al Suo attivo è, fra l’altro, da annoverarsi anche un interessante studio sul regime del Tevere a Ripetta e sui metodi per prevederne i livelli di piena e di magra.
A riguardo l’attività didattica vorrei ricordare che il possesso della libera docenza in Geografia Fisica La portò, negli anni tra il 1936 ed il 1938 ad insegnare Geografia Fisica dell'Africa presso l’Istituto Italiano per l'Africa, a cura del quale furono pubblicate in volume le lezioni. È nello stesso periodo che la troviamo anche a Castellammare di Stabia presso queU’Osservatorio di Meteorologia e Climatologia.
La Majo seguì molto da vicino gli sviluppi che la meteorologia aero¬ nautica andava subendo in Italia ad opera della pratica previsionistica dello Schinze, basata sulla teoria dei sistemi frontali dei Bjerknes.
Fu per Suo incitamento che alcuni fisici napoletani, neolaureati, con¬ corsero per il Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare: fra essi il col.llo Fiore, il maggiore Pittorino il dott. Speranza, il prof. Pignataro.
Vorrei concludere il mio dire col ricordare che la sensibilità della Majo non si esaurì nell’arida ricerca scientifica, sia pure coronata da personale soddisfazione oltre che da numerosi riconoscimenti, ma il Suo pensiero, formatosi negli ideali umanistici, ed una innata e spiccata atti¬ tudine all'arte pittorica l'avvicinarono, nelle pause del Suo lavoro, alla tavolozza. Predilisse la natura e, quasi presaga del futuro scempio di que¬ sta, le figurazioni floreali animarono i suoi quadri in una vivida brillanza di colori.
Aldo Napoletano
Boll. Soc. Natur . in Napoli
voi. 84, 1975, pp. 13-24, figg. 6, lav. I
Variazioni precoci di porosità e permeabilità e cementi dolomitici in sedimenti carbonatici del Cretacico inferiore di Petrovici (Banyani, Montenegro occidentale) (*)
Nota del socio Lucia Simone (**)
(Tornata de! 14 novembre 1974)
Riassunto. — Sono stati studiati sedimenti laminati di età cretacica infe¬ riore» affioranti a est di Petrovici (Banyani) nel Montenegro occidentale (Ju¬ goslavia). Questi sedimenti sono interessati da intensi fenomeni di dissecca¬ mento e mostrano1 spesso la pressocché totale sostituzione dell'originario' ma¬ teriale costituente le lamine. Vengono messi in evidenza ripetute fasi di de¬ posizione, dissoluzione e cementazione che, nel corso della diagenesi precoce, hanno modificato' la porosità e permeabilità della roccia. La permeabilità è controllata dall'ambiente diagenetico e oscilla in relazione al clima, riducendosi o aumentando a seconda che si instaurino fasi di tipo umido o arido.
Abstract . — A study was made of laminated limestones of Cretaceous age that crop out to thè east of Petrovici (Banyani) in western Montenegro (Yugo- slavia). These sediments are interesting on account of their near-contemporary intense desiccation. There is evidence of repeated phases of deposition, disso¬ lution and cementatìon which» during early diagenesis» modified thè porosity and permeability and led to almost complete substitution of thè originai lami¬ nated rock. Permeability was dependent on thè diagenetic environment which changed according to thè contemporary climate» decreasing or increasing as this varied from humid to arìd.
L Introduzione
Vengono discussi in questo lavoro i risultati di ricerche su sedimenti carbonatici tendenti a chiarire i processi che» nel corso della diagenesi precoce» ne modificano la porosità e la permeabilità.
(*) Lavoro eseguito con il contributo del C.N.R.
(**) Istituto di Geologìa e Geofisica dell'Università di Napoli, Largo S. Mar¬ cellino 10; 80131 Napoli.
14 L. Simone
Lo studio di questi processi, come è noto, ha assunto negli ultimi anni un notevole interesse a causa delle influenze che queste modifiche esercitano sulla migrazione e/o permanenza dei fluidi interstiziali (origi¬ narie acque di imbibizione, soluzioni mineralizzanti o idrocarburi).
I materiali studiati provengono da terreni affioranti a est di Petrovici (Banyani), nel Montenegro occidentale (Jugoslavia), e sono costituiti da dolomie e calcari dolomitici in strati e banchi che formano una mono- clinale immergente a SE ; la campionatura è stata effettuata lungo la strada ferrata, in vicinanza dell’abitato. L’esame sedimentologico di questi materiali indica che essi costituiscono una serie di cicli in cui si alter¬ nano depositi sopralittorali stromatolitici a depositi infralittorali, separati spesso da superfici disseccate o da vere superfici di erosione. La loro età è cretacica inferiore, probabilmente corrispondente al Neocomiano inf. (Radoicic e Vujisic, 1970); l’intervallo studiato è infatti immediatamente sovrapposto a calcari dolomitici con Cayeuxia sp.
Dal punto di vista tettonico i terreni studiati appartengono alle unità dinariche esterne (unità dell’Alto Carso, Aubouin, 1960), corrispondenti alle parti centrali della Piattaforma Carbonatica Dinarica (D'Argenio, Ra¬ doicic e Sgrosso, 1971).
2. Litologia e tessiture
I carbonati oggetto di questo studio provengono da strati di dolomia laminata vistosamente interessata da processi di disseccamento con com¬ pleta sostituzione (almeno in determinate aree) deH’originario materiale costituente le lamine (Fig. 1). La struttura finale, estremamente complessa, indica un succedersi di varie fasi di deposizione e di dissoluzione stretta- mente collegate a fenomeni diagenetici molto precoci.
La roccia appare all’osservazione macroscopica costituita da due tipi di dolomite: (a) lamine di dolomite spatica che regolarmente si alternano con ( b ) lamine dolomicritiche. Setti dolomicritici subverticali ( b '), del tutto analoghi alle lamine orizzontali, isolano nelle lamine di dolospatite pile di piattelli concavi verso l’alto, direzione nella quale le loro dimensioni si vanno progressivamente riducendo. (Tav. I).
L’insieme di lamine e setti dolomicritici (b e b') rappresenta il riempi¬ mento di un reticolo di cavità orizzontali e verticali isolanti poligoni da disseccamento, cavità che sono state colmate in più riprese da sedimento micritico. Ma anche la dolospatite (a), che costituisce la quasi totalità di ogni singolo piattello, appare a sua volta chiaramente un riempimento
Cretacico inferiore di Petrovici 15
di cavità poiché i suoi cristalli formano un tipico mosaico di drusa. Ciascun tipo di cavità richiede dunque un suo tipo di giustificazione.
L'esame dei piattelli indica che essi sono il risultato di un processo di deposizione avvenuto in varie fasi che si sono succedute dopo la forma¬ zione delle cavità. In una prima fase un sedimento interno di natura meccanica costituito da dolosiltite riempie 'geotropicamente dette cavità. In un secondo momento il riempimento degli spazi residui è costituito da dolomite spatica in cui sono riconoscibili due generazioni: una prima, a
Fig. 1. — Petrovici (Banyani) - Lamine dolomitiche con strutture da dissecca¬ mento. Sono visibili sul piano di stratificazione strutture poligonali (mud cracks ) e sulla testata dello strato cavità verticali ed orizzontali ( prism cracks e sheet cracks ).
piccoli cristalli subedrali, che incrosta le pareti della cavità e la superficie d'accumulo del sedimento interno e una seconda, a cristalli subedrali-eue- drali di dimensioni notevolmente maggiori ( 0,5 mm), che cresce con asse
C perpendicolare alle pareti della cavità (Fig. 2).
Inoltre nelle cavità di maggiori dimensioni alla seconda generazione di dolomite segue, quale ultimo stadio del riempimento che porterà alla formazione dei piattelli , un mosaico di calcite spatica costituito da pochi grossi cristalli anedrali che talora possono ridursi ad un unico cristallo che occupa interamente la cavità residua (Fig. 3). Talvolta, adagiato sulla
16 L . Simon e
ultima generazione di dolomite spatica e prima della formazione del mo¬ saico calcitico, si può osservare la presenza di ulteriore sedimento « mec¬ canico » geotropo, costituito da piccoli frammenti di cristalli dolomi¬ tici (Fig. 4). La presenza di tali frammenti appare chiaramente legata alla esistenza di piccole fratture subverticali che collegavano tra loro le cavità ancora beanti in questa fase del processo. Queste fratture, che interessano il sedimento meccanico iniziale e le due successive generazioni di dolo¬ mite, sono riempite dalla stessa calcite che costituisce il riempimento finale delle cavità residue.
Fig. 2. — Petrovici (Banyani) - Lamine dolomitiche. Particolare di un piattello dolospatico. Sono riconoscibili: L. lamina dolomicritica costituente la parete della cavità; S. riempimento geotropo dolosiltitico; prima generazione di dolospatite a cristalli subedrali; D2. seconda genera¬ zione di dolospatite a cristalli euedrali (da sez. sottile a nicols in¬ crociati 70 x).
In definitiva l'intera successione dei processi di riempimento di queste « cavità » (attualmente sotto forma di piattelli dolospatitici) implica che la dolomite spatica che ha incrostato le cavità vada considerata come pri¬ maria, derivando da un processo di precipitazione diretta. L'esistenza di un sedimento interno, adagiato sul fondo di cavità residue ed originatosi a causa delle piccole fratture che hanno poi messo in collegamento le cavità,
Cretacico' inferiore di Petrovici 17
fa escludere che i cristalli di dolomite che tapezzano dette cavità derivino dalla dolomitizzazione di un originario mosaico calcitico. La calcite in grossi cristalli ha colmato tardivamente gli spazi resìdui e le fratture che li collegavano. Ciò è confermato dalFestinzione contemporanea di cristalli di calcite e di contigui cristalli di dolomite: la contiguità ottica dimostra
Fig. 3. — Petrovici (Banyani) - Lamine dolomitiche. Particolare di un piattello dolospatitico. Sono riconoscibili: L. lamina dolomicritica costituente la parete della cavità; Dt. prima generazione di dolomite spatica a cristalli subedrali; D2. seconda generazione di dolomite spatica a cristalli euedrali; C. grosso cristallo di calcite che occlude la cavità finale (da sez. sottile a nicol incrociati 100 x).
2
18 L. Simone
la crescita sintassiale dei cristalli di calcite su cristalli di dolomite già in quel momento esistenti.
La possibilità che questa dolomite rappresenti la sostituzione di una calcite preesistente che incrostava le pareti della cavità non spiega infine la presenza di due generazioni di dolomite con aumento centripeto delle dimensioni dei cristalli e disposizione degli assi C perpendicolare alle pareti delle cavità stesse.
Un meccanismo genetico alternativo può consistere in una precocissima dolomitizzazione di cristalli aghiformi di aragonite costituenti la prima fase di riempimento delle cavità. Tale processo avrebbe potuto procedere parai-
Fig. 4. — Petrovici (Banyani) - Lamine dolomitiche. Particolare di un piattello dolospatitico. Sono riconoscibili: prima generazione di dolospatite
a cristalli subedrali; D2. seconda generazione di dolospatite a cristalli euedrali; C. calcite anedrale; interposto tra D2 e C si rinviene un se¬ dimento (S2) costituito da frammenti di dolomite formatisi in se¬ guito alla creazione di piccole fratture (F) (da sez. sottile a nicols paralleli 70 x).
lelamente alla dolomitizzazione delle stesse lamine micritiche delimitanti le cavità; anche in questo caso però resterebbe da spiegare l'aumento delle dimensioni dei cristalli della seconda generazione di dolomite.
Si propende quindi per una origine primaria del mosaico dolomitico, anche se resistenza di cementi dolomitici primari è molto discussa.
Cretacico inferiore di Petrovici 19
3. Genesi delle cavità
La morfologia e la regolarità della distribuzione dei piattelli dolospatiti- ci fanno escludere la loro appartenenza a cavità di tipo sheet cracks . Come si è prima ricordato, infatti, i materiali studiati appaiono smembrati in croste poligonali da un reticolo di cavità da disseccamento verticali ed orizzontali colmate poi da materiale detritico ( b e b') (Fig. 5); le loro caratteristiche sono quindi quelle tipiche di sedimenti littorali-sopralittorali
Fig. 5. — Petrovici (Banyani) - Lamine dolomitiche. Poligoni da disseccamento ( piattelli dolospatitici) limitati da un reticolo di cavità verticali col¬ mate da dolomicrite.
attuali ( algal mats, croste evaporitiche di sabkha ecc.). Il ritrovare però attualmente i piattelli formati da mosaici dolomitici di drusa indica ovvia¬ mente che essi rappresentano il prodotto della totale dissoluzione dell’ori¬ ginario sedimento costituente le lamine.
Di particolare interesse risulta l’evidenza di fasi meno avanzate del processo di dissoluzione ora descritto. Si possono infatti osservare ancora: (a) alcune lamine, in parte integre ed in parte smembrate in piattelli dolo- siltitici, le quali presumibilmente derivano da processi di sostituzione dello orginario sedimento; (b) casi intermedi nei quali i piattelli sono soltanto parzialmente formati dai mosaici di drusa di cristalli dolomitici e risultano separati dalle lamine e dai setti dolomicritici adiacenti da un film dolo-
20 L. Simone
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Cretacico inferiore di Pefrovici 21
siltitico più o meno spesso, che rappresenta il residuo del materiale che formava il piattello e al tempo stesso costituisce le pareti della cavità secondaria. (Tav. I).
Numerosi stadi intermedi, quindi, collegano le cavità occupate da un mosaico di drusa alle lamine più o meno integralmente conservate, testi¬ moniando la comune derivazione da un originario sedimento laminato che ha subito processi di sostituzione e/o graduale dissoluzione.
S’è già detto che le lamine possono ritenersi di origine organico¬ sedimentaria ( algal-mats ). Ciò è confermato dal fatto che, dissolvendo gra¬ dualmente in HC1 al 2 % campioni di roccia provenienti dal livello studiato si è ottenuto la liberazione dal materiale insolubile di filamenti organici di probabile natura aigaie (non è possibile escludere la presenza di ife fungine) e di numerose spore e (?) granuli pollinici. Su tutti i filamenti ot¬ tenuti si sono eseguite reazioni con coloranti specifici della sostanza orga¬ nica che hanno dato esito positivo. L’abbondanza di tali filamenti ha fatto sorgere il problema della loro localizzazione nel sedimento. In sezione sottile si è notato nella dolomicrite costituente le lamine orizzontali ed i setti verticali la presenza di strutture che ricordano filamenti algali o ife fungine; dalla lenta dissoluzione in HC1 al microscopio si è potuto però accertare che la maggior parte dei filamenti proviene dalla dolospatite. Ciò è confermato dall'osservazione al microscopio elettronico a scansione dalla quale appare chiaramente come questi filamenti siano abbondanti all’interfaccia tra le pareti della cavità da dissoluzione e il riempimento dolomitico delle cavità stesse, spingendosi talvolta tra le facce dei cristalli (Fig. 6). Solo subordinatamente, durante la dissoluzione, filamenti si libe¬ rano dalle pareti dolomicritiche.
Quanto alla iniziale composizione mineralogica delle lamine si possono avanzare due ipotesi: che si trattasse di lamine carbonatiche ovvero di lamine anidritiche. La seconda alternativa appare più convincente per la più facile solubilità di questi depositi oltre che per la presenza di anidriti, le quali compaiono in aree contigue alla stessa altezza stratigrafica (R. Radoicic, comunicazione orale).
4. Considerazioni conclusive
Da ciò che è stato finora detto si può tentare una ricostruzione dei processi deposizionali e diagenetici che hanno portato alla formazione dei sedimenti in esame e ricostruirne l'ambiente di formazione.
1) Formazione di lamine prevalentemente evaporitiche (anidrite?) colo¬ nizzate da feltri algali s.l. ( algal mais) in ambiente sopralittorale ( sabkha ).
22 L. Simone
2) Intensa disidratazione con formazione di cavità da disseccamento che smembrano le lamine ed individuano pile di piattelli concavi verso l’alto (croste poligonali).
3) Sostituzione dell’ambiente evaporitico con un ambiente più umido, in cui le acque meteoriche trasportano in sospensione fanghi carbonatici e materiali organici. Tali materiali riempiono le cavità verticali e si spin-
Fig. 6. — Petrovici (Banyani) - Lamine dolomitiche. Granuli pollinici (?) all'in¬ terfaccia tra cristalli di dolomite che incrostano le pareti delle cavità colmate costituenti i piattelli (fotografia al microscopio- elettronico a scansione, 3000 x) .
gono nelle cavità orizzontali esistenti fra i piattelli fino- a colmarle comple¬ tamente. Da ciò la continuità di strutture tra i setti e le lamine orizzontali dolomicritiche.
4) Diffusione degli organismi trasportati in tali acque (cianoficee, funghi e pollini) nel sistema di cavità da disseccamento e presumibile colonizzazione della superficie dei piattelli con un inviluppo di filamenti.
Cretacico inferiore di Petrovici 23
5) Inizio, in questo nuovo regime diagenetico di tipo vadoso e/o freatico, di una fase di sostituzione e/o dissoluzione dei poligoni che si trasformano più o meno completamente in cavità secondarie. I filamenti organici che, come si è detto, formano un inviluppo periferico possono spingersi o cadere in queste cavità.
6) Nuova fase di disidratazione (regime diagenetico in ambiente arido) con risalita per capillarità di acque ad alto contenuto salino (strutture di risalita) che causano la dolomitizzazione del sedimento micritico costi¬ tuente i setti verticali e le lamine orizzontali (b' e b). Sulle pareti delle cavità (cfr. il par. 2 e il precedente punto 5), ormai già precocemente dolomitizzate, si verifica la crescita di cristalli di dolomite che le colmano più o meno completamente con dei veri mosaici di drusa ( piattelli di dolospatite (a) più volte menzionati).
La formazione del sedimento in esame si è quindi avuta in più tempi ed è il prodotto di una sostituzione pressocché completa del sedimento originario.
Gli eventi deposizionali e diagenetici che hanno prodotto la struttura finale della roccia in esame hanno modificato a più riprese la porosità della roccia stessa. Le modificazioni mineralogiche ed i processi di soluzione avvenuti in corrispondenza di variazioni climatiche succedutesi in fasi alterne (cicli?) hanno addirittura sostituito al sedimento originario delle cavità, inducendo ripetute variazioni di permeabilità.
Si ritiene pertanto che porosità e permeabilità, oltre ad essere fun¬ zione della tessitura iniziale del sedimento e delle successive fasi diage¬ netiche, sono qui funzione delle variazioni climatiche. In particolare a fasi climatiche che tendono all’aridità corrisponde un incremento della permeabilità, mentre all’instaurarsi di fasi climatiche di tipo umido cor¬ risponde una diminuzione della permeabilità, legata ad una maggiore disponibilità di fluidi interstiziali ed al conseguente aumentato apporto di materiali detritici (sedimenti interni).
Napoli , Istituto di Geologia e Geofisica dell’Università , novembre 1974
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Boll. Soc. Nalur. in Napoli voi. 84, 1975, pp. 25-29, fig . 1
Decouverte d’un gisement a ossements de reptiles dans le Trias de Saracena, Apennin Calabro-Lucanien (Italie Meridionale)
Nota di J. C8 Bousquet *, J. Megard * et P. Taquet **
presentata dai soci I. Sgrosso e P. Scamdone
(Tornata del 31 gennaio 1975)
Résumé. — Cette note a pour but de signaler, pour la première fois dans l 'Apennin calabro-lucanien, la présence d'un gisement à ossements de reptiles. Ce gisement a été trouvé près du village de Saracena, au sein de niveaux calcaro- dolomitiques rapportés au Trias sujérieur (Carnien ou Norien inférieur?).
Des attaques ménagées à l'acide acétique ont abouti au dégagement de fragments osseux et d'une seule vertèbre dont l'état ne permet pas de préciser s'ils appartiennent à l'un ou l'autre des ordres de Reptiles marins de l'époque.
Riassunto. — Scopo di questa nota è segnalare, per la prima volta nell 'Ap¬ pennino calabro-lucano, l'esistenza di una località fossilifera a resti di rettili. Questi sono contenuti in calcari dolomitici del Trias superiore (CarnicoNorico inf.?) affioranti presso Saracena. Attraverso l'attacco con acido acetico è stato possibile liberare vari frammenti ossei e una vertebra. Lo stato di conserva¬ zione del materiale non consente di determinare l'ordine cui appartenevano i rettili in questione.
L’Apennin calabro-lucanien est constitué en grande partie par des terrains triasiques, dont certains termes ont été comparés au « Trias de faciès alpin » (1). A l'exception des dolomies noriennes à Dasycladacées, Polypiers et Gastéropodes ( Worthenia solitaria), qui rappelìent la « Haupt- dolomit », ces terrains sont peu fossilifères, les dolomies et les calcaires généralement assez recristallisés, ayant subi avec les schistes auxquels ils sont associés, les effects du métamorphisme alpin (2). Toutefois, l'Ani- sien (2) et le Ladinien (3) ont pu ètre identifìés paléontologiquement gràce à des niveaux à Algues. Nous voulons de plus signaler ici l'existence d'un
* Laboratoire de Géologie Structurale ERA n. 132. U.S.T.L. Montpellier.
** Inst. de Paléontologie. Muséum nat. d’Histoire nat. Paris.
26 /. C. Bousquet, J, Megard e P. Taquet
gisement à ossements de Reptiles, qui s’il n’apporte pas d’éléments de datation supplémentaires, mérite toutefois d'ètre décrit, étant le premier à ètre découvert en Italie méridionale.
Localisation et contexte geologique
Ce gisement a été trouvé dans le Nord de la Calabre, sur le flanc orientai de «la Carpanosa » (1310 m), relief qui domine le village de Saracena (4). Les ossements de Reptiles sont inclus dans des calcaires dolomitiques, qui appartiennent à l’« Unité du Pollino et de Campo- Tenese » (5, 3); cette dernière est l'une des nappes aux terrains mésozoi- ques essentiellement carbonatés, qui forment l’ossature de l’Apennin calabro-lucanien (6). Nous indiquerons ici les grands traits de la sèrie triasique que l'on peut établir en faisant appel à différentes coupes. En effet, il n’a pas été observé de coupé complète continue dans le Trias de cette unité du fait de Texistence de nombreuses failles plio-quaternaires qui accidentent la région, et de Térosion anté-Miocène inférieur (cf. 3, fig. 3B), qui au niveau de Saracena, tronque les terrains triasiques. De bas en haut, la sèrie triasique est la suivante: — 4 à 500 m de dolomies blan- ches, alternent avec des calcaires gris cristallins, puis des calcaires dolo¬ mitiques gris bleu, passant vers le haut à des calcaires fins plaquettés et à des calcschistes. Ce sont ces calcaires dolomitiques à la patine parfois « framboise », qui contiennent des ossements de Reptiles à la Carpanosa. — ■ 6 à 800 m de dolomies blanches ou grises, présentant à leur base des niveaux de schistes dolomitiques bioturbés, de couleur rouille (ces schistes sont bien visibles sur le flanc sud du Mte Serra, où ils contiennent des Lingules). A leur sommet les dolomies passent à des calcaires dolomitiques, qui sont surmontés ensuite par des calcaires jurassiques.
Dans cette sèrie, les dolomies supérieures sont assez souvent fossili- fères et datées du Norien, par Gyroporella vesiculifera Giimbel (7). Nous avons d’autre part trouvé, à l'Ouest de la Calcinara, près de Pelichiechiero (8), des calcaires dolomitiques fossilifères, qui par leur faciès et leur position peuvent ètre considérés comme étant des équivalents latéraux des calcaires dolomitiques à restes de Reptiles de la Carpanosa. Ils con¬ tiennent toute une faune de Lamellibranches ( Modiola , Ostrea, Lima ) et de Gastéropodes ( Loxonema , Chemitzia, Neritaria ) dont une Worthenia très voisine de l’espèce solitaria. Les lames minces effectuées dans ces calcai¬ res (9) ont donné quelques Foraminifères (Glomospirelles) attribués par Mme L. Zaninetti (10) au Trias supérieur. Il est donc assez probable que
Decouverte d’un gisement a ossements de reptiles 27
les calcaires à ossements de Reptiles appartiennent aussi au Trias supé- rieur, sans qu'il nous soit possible de préciser si Fon peut les piacer dans le Carnien, ou à la base du Norien, étant donné qu'il s'agit d'horizons situés en tout cas plus bas que les dolomies noriennes.
Fjg. 1
Description
Dans le gisement de la Carpanosa, les calcaires dolomitiques gris bleu à patine parfois « framboise » affleurent en surface structurale. Les bancs d’une épaisseur de 15 à 20 cm, sont peu diaclasés, ce qui rend le dégage- ment d’échantillons assez malaisé. C'est principalement au sommet des dalles calcaires, que Fon remarque des débris noirs centimétriques, dont certains par leur forme sont directement identifiables comme des frag-
28 J. C. Bousquet, J. Megard e P. Taquet
ments osseux. La plupart des débris, moins résistants que l’encaissant, se présentent en creux, et c’est gràce à une attaque ménagée à l'acide acé- tique, entreprise sur plusieurs blocs de calcaire, que Fon a pu obtenir parmi des fragments osseux non identifiables, une vertèbre (photo). Celle-ci, fortement écrasée transversalement, est probablement une vertèbre cau¬ dale. Un Chevron présent parmi les pièces qui lui étaient associées vient renforcer cette hypothèse. Le centrum et Fare neural munì de ses apo- physes (pré et post-zygapophysès) sont bien reconnaissables sur la verèbre; en avant de celle-ci se trouve un fragment osseux indéterminable qui est peut étre una portion de Fare neural de la vertèbre immédiatement anté- rieure. Les dimensions de la vertèbre sont les suivantes: longueur du centrum: 21 mm; hauteur du centrum: 25 mm; hauteur de la vertèbre, are neural compris: 60 mm.
Conclusion
Ce matériel très fragmentaire ne peut malheureusement pas étre rapporté de fagon précise à l’un ou Fautre des ordres de Reptiles marins de Fépoque: Araeoscelides, Sauroptérygiens ou Placodontes. De nombreux représentants de ces Reptiles ont été décrits dans plusieurs gisements du domaine alpin (11, 12) et spécialement dans le Tessin (13). Par rapport à ces gisements, datés du Trias moyen, celui de la Carpanosa serait donc vraisemblablement plus jeune, puisque du Trias supérieur. Malgré le mauvais état de conservation de la plupart des débris osseux et les condi- tions stratigraphiques et structurales peu favorables, nous espérons que la découverte de ce gisement inciterà à d’autres recherches au sein des séries triasiques de FApennin calabro-lucanien.
BIBLIOGRAPHIE
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2) Bousquet J. C. et Dubois R., 1967 - Découverte de niveaux anisiens et caractères du métamorphisme alpin dans la région de Lungro. C. R. Acad. Se. t. 264, p. 204-207.
3) Bousquet J. C., 1971 - La tectonique tangentielle des séries calcar éo-dolomiti- ques du Nord-Est de V Apennin calabro-lucanien ( Italie méridionale). Geo¬ logica Romana, voi. X, p. 23-52.
4) Coordonnées du gisement: 33 SWE 989043, carte au l/25.000ème de Saracena.
Decouverte d’un gisement a ossements de reptiles 29
5) Bousquet J. C. et Grandjacquet C., 1969 - Structure de l’Apennin calabro- lucanien ( Italie méridionale). C. R. Acad. Se. t. 268, p. 13-16.
6) Nous renvoyons à la note de Bousquet3, pour de plus amples renseigne- ments sur le contexte structural. On se reportera en particulier aux fìg. 11 et 12 de cette publication qui ont trait à la géologie des environs de la Carpanosa.
7) Sartoni S. et Crescenti U., 1959 - La zone à Palaeodasycladus mediterraneus (Pia) nel Lias dell’ Appennino meridionale. Giorn. Geol. Bologna, voi. XXVII, p. 115-139.
8) Coordonnées: 33SWE 942096, carte au l/25.000ème de Saracena
9) Les lames minces effectuées dans les calcaires dolomitiques de la Carpanosa ne nous ont pas livré de microfaune.
10) Nous prions M.me L. Zaninetti de bien vouloir accepter nos remerciements pour ces déterminations.
11) Ellenberger F., 1958 - Elude géologique du pays de Vanoise. Mem. expl. carte Géol. France, 560 p.
12) Gisement de l’Anisien dans les Grisons, trouvé par J. Neher (inédit) cité dans F. Ellenberger11.
13) Kuhn-Schnyder E., 1974 - Die Trias-Fauna der Tessiner Kalkalpen. Neujahrs- blatt h.v.d. Naturf orschen den Gesellshaft in Tiirich. S. 176, p. 1-119, 85 fig., 5 tabi.
Boll. Soc. Natur. in Napoli voi. 84, 1975, pp. 31-44, figg. 4
Prime considerazioni sulla presenza del flysch numidico nelPAppennino sannita
Nota del socio Franco Ortolani * e di Giuseppe Narciso * ed Angelo Sanzò *
(Tornata del 25 aprile 1975)
Riassunto. — Nell 'Appennino sannita e molisano sono stati riconosciuti se¬ dimenti quarzarenitici correlatoli con quelli del flysch numidico, di età lan- ghiana, depostisi nel bacino lagonegrese. In una fascia occidentale tali quarza- reniti sono troncate a tetto da una superficie tettonica mentre in una fascia orientale ai depositi quarzarenitici seguono successioni arenacee e calcaree ri¬ feribili alle unità irpine di età langhiano-tortoniana. Le unità lagonegresi, che affiorano quindi nel Sannio fino oltre il fiume Biferno, hanno permesso una prima correlazione delle unità sedimentarie presenti nell 'Appennino sannita con quelle della Campania e Lucania.
Summary. — In thè Sannio and Molise have been recognized quartzitic se- diments belonging to thè flysch numidico, Langhian in age, deposited in thè Lagonegro basin. In a Western zone such sediments are truncated by a tectonic contact while in an Eastern zone they are overlied by thè Irpinian units (Langhian-Tortonian). The presence of thè Lagonegro units in thè Sannio make possible a first correlation of thè sedimentary units outcropping in this region to those outcropping in Campania and Lucania.
1. Premessa
Nella presente nota vengono esposti i primi risultati di ricerche intra¬ prese nelPAppennino sannita e molisano miranti ad una distinzione delle unità stratigrafico-strutturali ivi presenti e ad una loro correlazione con le unità riconosciute nelPAppennino campano-lucano (Fig. 1).
Stando alle conoscenze attuali (carta geologica d'Italia alla scala: 1:100.000) esistono infatti improvvise variazioni tra la geologia del Sannio e del Molise e quella della Campania. Tali diversità sono da imputare
(*) Istituto di Geologia dell'Università di Napoli, Lavoro eseguito e stampato con il contributo finanziario del C.N.R.
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probabilmente alla scarsezza di nuovi dati originali e forse alla mancanza di coordinazione tra i rilevatori dei vari fogli della carta geologica uffi¬ ciale.
Le prime ricerche hanno rivelato la presenza anche nell'Appennino sannita, e in parte di quello molisano, di alcune unità ben note in Cam¬ pania e Lucania tra le quali la più caratteristica è il flysch numidico. Il flysch numidico o «arenarie di Stigliano » auct., che è stato oggetto di
numerosi lavori in Lucania e Campania (Selli, 1957; Boenzx, Ciaranfi & Pieri, 1968; Palmentola, 1967; Ogniben, 1969; Cocco e ah, 1974; ecc.) rag¬ gruppa parte dei depositi miocenici del bacino lagonegrese (Scandone, 1972; Cocco e al., 1972, 1974). Come è già stato messo in evidenza da Cocco e al. (1972, 1974) il flysch numidico segue in continuità di sedimentazione ad alternanze di marne ed argille talvolta di colore rosso, verde e grigio e calcareniti. Queste alternanze prevalentemente marnoso-argillose di età Oligocene ed Aquitaniano sono riferite dalla scuola di Napoli al membro marnoso-argilloso del flysch rosso delle unità lagonegresi (Cocco e al., 1974).
Alcuni ricercatori del Servizio Geologico d'Italia e della scuola di Bari indicano genericamente queste ultime alternanze come « argille varico-
Flysch numidico nell’ Appennino sannita 33
lori » o « complesso indifferenziato ». In tal modo nei fogli geologici uffi¬ ciali i terreni marnoso-argillosi del flysch rosso possono essere stati carto- grafati insieme con altri sedimenti simili litologicamente ma appartenenti ad unità di provenienza più interna delle unità del bacino lagonegrese, quali ad esempio il «complesso sicilide » di Ogniben (1969) o le «unità delle argille varicolori» di Ippolito e al. (1973).
Secondo la ricostruzione della scuola di Napoli, delineabile con i dati finora raccolti con le ricerche in Campania e Lucania, il flysch numidico
Fig. 2. — Colonne stratigrafiche schematiche della porzione oligo-miocenica delle unità lagonegresi nell’Appennino sannita e nel Molise.
si sarebbe sedimentato nel Miocene inferiore nel bacino lagonegrese ubi¬ cato tra la piattaforma campano-lucana ad occidente e la piattaforma abruzzese-campana ad oriente. Prima del flysch numidico nel bacino lago¬ negrese si erano sedimentati il flysch rosso (distinto in un membro supe¬ riore marnoso-argilloso di età Aquitaniano-Oligocene e un membro calca- reo-marnoso inferiore di età Oligocene-Cretacico superiore), il flysch gale¬ strino e gli altri terreni più antichi riferibili alla serie calcareo-silico- marnosa (Scandone, 1967). La sedimentazione quarzarenitica nella parte
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occidentale del bacino è stata interrotta dall’arrivo di coltri provenienti dalle aree più interne durante la fase tettonica langhiana; in seguito a tale fase nella parte orientale del bacino si è avuta solo l’interruzione degli apporti quarzarenitici e l’arrivo di materiale arcosico-litico e calcareo- clastico, sia pure in continuità di sedimentazione (Cocco e al., 1972).
Gli affioramenti di flysch numidico dell'Appennino sannita, in base alla posizione geografica, all’evoluzione sedimentaria e alla posizione strut¬ turale delle successioni quarzarenitiche, possono essere nettamente rag¬ gruppati in due fasce parallele alla catena ed orientate NW-SE: nella fascia occidentale il tetto del flysch numidico in genere è rappresentato da una superficie tettonica; nella fascia orientale invece si ha continuità di sedi¬ mentazione dalle quarzareniti alle calcareniti e arenarie arcosico-litiche di età langhiano-tortoniana del bacino irpino (Cocco e al., 1972). In en¬ trambe le fasce il letto è rappresentato dal membro marnoso-argilloso del flysch rosso (Fig. 2).
2. Fascia occidentale
I rilievi in Cui finora è stata accertata la presenza del flysch numidico sono quelli ad E del Matese (gruppo di Monte Moschiaturo) ed in tutti i Monti del Sannio a partire da una linea congiungente Vinchiaturo con Campobasso a N fino in Irpinia verso S (Fig. 3).
2.1. Gruppo di Monte Moschiaturo
I rilievi di questo gruppo delimitano ad oriente i Monti del Matese e sono compresi tra una linea congiungente Guardaregia con Pietraroia ad W e la piana di Sepino e Morcone ad E. Quest’area è abbastanza nota
►
Fig. 3. — Rappresentazione schematica delle aree di affioramento del flysch numi¬ dico nell’Appennino sannita e nel Molise. A: unità carbonatico-terrigene della piattaforma abruzzese-campana; B (fascia occidentale descritta nel testo): flysch numidico (punteggiato) troncato a tetto da una su¬ perficie di sovrascorrimento langhiana; C: unità delle argille varicolori tettonicamente sovrapposte ai terreni dell’area B; D (fascia orientale descritta nel testo): terreni tettonizzati del membro marnoso-argilloso del flysch rosso e del flysch numidico (punteggiato) a cui seguono in continuità di sedimentazione le unità irpine dell'area E; E: unità irpine (Langhiano-Tortoniano); F : depositi plio-quatemari post-tetto- genetici.
Flysch numidico nell’ Appennino sannita 35
nella letteratura geologica in quanto è stata oggetto di studio da parte di vari ricercatori, quali ad esempio Manfredini (1963, 1966), Pescatore (1965) e altri.
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L'area in esame rientra nel foglio 162 Campobasso e 173 Benevento e sarebbe caratterizzata, secondo i rilevatori, daH’affioramento dei terreni di transizione tra la piattaforma carbonatica del Matese e il bacino moli¬ sano. Nei fogli sono cartografate con lo stesso simbolo sia le arenarie micacee del flysch di Pietraroia (Selli, 1962) di età tortoniana, legate strati- graficamente alla piattaforma del Matese o piattaforma abruzzese-campana (Ippolito e al., 1973) che i depositi quarzarenitici, di seguito descritti, legati stratigraficamente a successioni calcareo-marnose-argillose poggianti tetto¬ nicamente sulle unità carbonatico-terrigene del Matese.
Nei pressi di sorgente Acqua Spasa, lungo la strada che congiunge Pietraroia con Morcone, in alcuni affioramenti particolarmente ben esposti è stato possibile fare le osservazioni che hanno permesso di riconoscere le quarzareniti del flysch numidico. In più punti della località citata è possibile riscontrare il passaggio stratigrafico da alternanze di marne, ar¬ gille e calcareniti a banchi di quarzareniti di colore giallo con granuli di quarzo arrotondati. In particolare la successione stratigrafica può essere così schematizzata: intervallo marnoso-argilloso a letto cui seguono banchi di alcuni metri di spessore costituti da quarzareniti gialle con alternanze di marne ed argille. L'intervallo quarzarenitico è potente circa 30 metri.
La fauna riscontrata nell’intervallo marnoso-argilloso indicherebbe un’età oligocenica ed aquitaniana (Pescatore, 1965). La microfauna presente nelle intercalazioni argillose dell’intervallo quarzarenitico è del tutto simile a quella riscontrata nelle alternanze pelitiche del flysch numidico in Cam¬ pania e Lucania e indica una età langhiana.
L'intervallo prevalentemente marnoso-argilloso poggia stratigrafica¬ mente su una successione calcareo-marnosa di età compresa tra il Creta¬ cico superiore e l’Oligocene (Pescatore, 1965) che è correiabile con il membro calcareo-marnoso del flysch rosso di Cocco e al. (1974). Il sovra¬ stante intervallo marnoso-argilloso è correiabile con il membro marnoso- argilloso del flysch rosso e l’intervallo quarzarenitico, quindi, per la sua posizione stratigrafica e per i caratteri petrografici delle arenarie è corre¬ iabile con il flysch numidico delle unità lagonegresi.
Come già detto i rapporti tra le unità lagonegresi e unità della piatta¬ forma abruzzese-campana sono di natura tettonica. In più punti infatti nel tratto compreso tra Pietraroia e Guardaregia è possibile osservare come i depositi arenaceo-argillosi del flysch di Pietraroia immergano al di sotto delle successioni calcareo-marnoso-argillose e quarzarenitiche del gruppo di Monte Moschiaturo. La sovrapposizione tettonica delle unità lagonegresi sulle unità della piattaforma abruzzese-campana, avvenuta nel Tortoniano, è già stata segnalata in Campania nel sottosuolo delPIrpinia
Flysch numìdìco nell’ Appannino sannita 37
(Ippolito, Ortolani & Di Nqcera, 1974) e nelle finestre tettoniche del bordo sudoccidentale dei Monti Picentini (Scandone & Sgrosso, 1974) e in Lucania nella zona di Monte Alpi (Ortolani & Torre, 1971).
2.2. Monti del Sannio
Sono costituiti da una serie di rilievi che descrivono un arco appena accentuato da Campobasso a NW fino a Buonalbergo a SW. Le quarzare- niti del flysch numidico affiorano abbondantemente lungo tutto Parco nelle aree più depresse strutturalmente. L'affioramento più settentrionale si trova nei pressi di Campobasso ed in particolare poco a S dell'abitato di Ferrazzano. Esposizioni particolarmente buone si trovano lungo il taglio della SS appulo-sannìtica tra i km 230 e 238. In questo tratto è possìbile constatare il passaggio stratigrafico da un intervallo costituito da alter¬ nanze di marne e argille con rare intercalazioni di biocalcareniti ad un intervallo prevalentemente quarzarenitico con intercalazioni marnose e calcar erotiche. La successione stratigrafica può essere così schematizzata: intervallo marnoso-argilloso a letto cui seguono verso l'alto quarzareniti in banchi di 2-3 metri di spessore con intercalazioni di marne di colore biancastro, in genere ricche di microfauna, e argille verdi quasi sempre sterili. Nei primi 25 metri della successione quarzarenitica si notano anche diverse intercalazioni di calcareniti che scompaiono verso l'alto. Le quarzareniti si ..presentano di colore giallo con granuli di quarzo arroton¬ dati e delle dimensioni fino a 3-4 millimetri; la matrice quarzosiltitica è prevalente.
Buone esposizioni si trovano nella zona di Cercemaggiore, specie ad W dell'abitato e lungo tutte le falde meridionali di Monte Saraceno. Anche in quest'area è ben esposto il passaggio stratigrafico tra l'intervallo mar¬ noso-argilloso del flysch rosso e l'intervallo quarzarenitico.
Le quarzareniti si riscontrano anche nell'area compresa tra Cercepic- cola e Cercemaggiore e nell'area a N di Monte Saraceno. Altri affioramenti si osservano nei pressi dell'abitato di S. Croce del Sannio: in particolare poco ad W del paese è ben visibile il passaggio straligrafico dalle quarza¬ reniti alle sottostanti marne ed argille. Quest'ultimo rinvenimento per¬ mette di inquadrare meglio i terreni calcareo -ma mosi riferiti da Selli (1962) alle « coltri sannitiche » correlandoli con quelli del membro calcareo- marnoso del flysch rosso. Altri affioramenti di quarzareniti, sempre nella stessa posizione stratigrafica, si riscontrano tra S. Croce del Sannio e Castelpagano, nei dintorni di Colle Sannita e Fragneto l’Abate.
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Esposizioni significative si hanno lungo la dorsale che da Decorata arriva fino a Buonalbergo; in questa zona le quarzareniti poggiano sempre stratigraficamente sull’intervallo marnoso-argilloso del flysch rosso e sono ricoperte tettonicamente dai terreni riferibili alle « unità delle argille varicolori ». Questa situazione è particolarmente ben esposta ad E del Lago di S. Giorgio la Molara e lungo la strada Casalbore-Ginestra degli Schiavoni.
3. Fascia orientale
È rappresentata da una stretta fascia parallela al margine orientale della catena e delimitata verso E dai depositi calcareo-marnosi miocenici dei Monti della Daunia. In tale fascia affiorano prevalentemente depositi marnoso-argillosi di vario colore, dal rosso al verde al grigio, con interca¬ lazioni di calcareniti a macroforaminiferi oligo-miocenici. Tali sedimenti varicolori sono molto simili litologicamente a quelli affioranti, tettonica- mente sovrapposti al flysch numidico, in una stretta area compresa tra i Monti del Sannio e una linea congiungente gli abitati di Castelvetere in Val Fortore, Baselice, Foiano di Val Fortore, Montefalcone di Val Fortore e Ginestra degli Schiavoni. Questi ultimi terreni però, studiati in parte da Cocco (1972) nella zona di Foiano di Val Fortore, appartengono ad un’altra unità stratigrafico-strutturale ( « unità delle argille varicolori » di Ippolito e ah, 1973 o « complesso sicilide » di Ogniben, 1969) di prove¬ nienza interna e sovrascorsa nel Langhiano sulla piattaforma campano¬ lucana e sui depositi del bacino lagonegrese (Cocco e al., 1974) (v. fig. 3).
Lungo tutta questa fascia orientale si riscontrano numerosi affiora¬ menti di quarzareniti piuttosto tettonizzate; in alcuni punti è ancora pos¬ sibile osservare il passaggio stratigrafico ai sovrastanti depositi dapprima calcareo-marnoso-arenacei (flysch della Serra Funaro di Crostella & Vez- zani, 1964) e poi calcareo-marnosi (flysch di Faeto di Crostella & Vezzani, 1964) come nei pressi di S. Bartolomeo in Galdo e poco ad E di Roseto Val Fortore.
Gli affioramenti più settentrionali di quarzareniti del flysch numidico finora riscontrati si trovano nei dintorni di Civitacampomarano a N del Biferno, nella zona di Lupara, Castelbottaccio, Castellino del Biferno. Altri affioramenti si trovano nei dintorni di S. Elia a Pianisi, Celenza Val For¬ tore, lungo il torrente La Catola, nei dintorni di S. Bartolomeo in Galdo, lungo il fiume Fortore ad W di Roseto Val Fortore e nel tratto compreso tra il fiume Cervaro ed il torrente Calaggio. Questi affioramenti sono costi-
Flysch numìdico nell’ Appennino sannita 39
tuiti da alternanze di quarzareniti gialle in banchi con sottili intercalazioni di marne verdi e calcarenitì.
Questi ultimi ritrovamenti di quarzareniti e la loro correlazione con il flysch numidico hanno permesso di inquadrare meglio anche le succes¬ sioni marnoso-argillose stratìgrafìcamente sottostanti, molto tettonizzate e spesso di vario colore, che affiorano dal Biferno a N fino al torrente Calaggio a S lungo una stretta fascia parallela al bordo orientale dell'Ap- pennrno. Anche in un recente lavoro infatti (Ortolani, 1974) tali alternanze marnoso-argillose affioranti tra il fiume Cervaro ed il torrente Calaggio sono state interpretate come appartenenti alle « unità delle argille vari¬ colori » di Ippolito e al. (1973). Si fa notare che la fascia caratterizzata dalla prevalenza di terreni marnoso argillosi riferibili al membro marnoso- argilloso del flysch rosso con grandi blocchi di quarzareniti del flysch numidico, a S della linea del torrente Calaggio si trova spostata più ad oriente; a S del Vulture inoltre tale fascia non è più riscontrabile.
Come già detto i terreni della fascia orientale si presentano molto tettonizzati e raramente è possìbile osservare gli originari rapporti strati- grafici tra i sedimenti marnoso -argiì lesi e le quarzareniti e tra queste ultime e i sovrastanti depositi calcareo-marnosi di età langhiano-torto- niana riferibili alle unità ìrpìne (Cocco e al., 1972). Ciò è dovuto alla intensa tettonizzazione cui è stato soggetto il margine esterno della catena fino al Pliocene; l'originaria pila di sedimenti costituita da potenti livelli mar¬ noso- argillosi intercalati a livelli quarzarenitici e calcareo-marnosi è stata notevolmente scompaginata. Si sono create infatti varie superfici di scolla¬ mento che hanno permesso la disarticolazione dei pacchi a litologia diffe¬ rente e la conseguente non uniforme deformazione. In genere si può osser¬ vare che il pacco c alca, reo -m a r no so più alto stratìgrafìcamente e geometri¬ camente che costituisce il flysch di Faeto (Crostella & Vezzani, 1964) si è scollato dalle sottostanti quarzareniti numidiche e marne e argille, acca¬ tastandosi nella parte più orientale della catena. In tal modo si può spie¬ gare la presenza della stretta fascia di terreni marnoso-argillosi varicolori molto tettonizzati di età oligo-miocenica, correlatali con il membro mar- noso-argilloso del flysch rosso, e di quarzareniti numidiche delle unità lagonegresi lungo tutto il bordo occidentale dei Monti della Daunia risultato tettonicamente denudato.
4. Posizione nel bacino lagonegrese
I livelli quarzarenitici messi in evidenza nelFAppennino sannita, sia nella fascia occidentale che in quella orientale, per la loro età (Langhiano),
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posizione stratigrafica (al di sopra del membro marnoso-argilloso del flysch rosso) e posizione strutturale (tettonicamente sovrapposti alle unità carbonatiche della piattaforma abruzzese-campana) sono correiabili con quelli appartenenti al flysch numidico, ben noto in Campania e Lucania, e che rappresentano gli ultimi sedimenti depostisi nel bacino lagonegrese prima della fase tettogenetica langhiana.
Si ricorda che secondo la scuola di Napoli il bacino lagonegrese era ubicato nelle aree esterne dei domini paleogeografici sudappenninici; esso era allungato all’incirca in direzione meridiana ed era delimitato, dal Trias medio-superiore fino al Miocene inferiore, ad occidente dalla piatta¬ forma campano-lucana e ad oriente dalla piattaforma abruzzese-campana.
Le quarzareniti del flysch numidico rappresentano un livello guida dei Langhiano dell'Appennino meridionale; questi nuovi dati confermano le osservazioni già fatte in Campania e Lucania sulla diversa evoluzione tet- tono-sedimentaria del margine occidentale ed orientale del bacino lagone¬ grese durante il Miocene. Con i dati finora raccolti sembra che nel Sannio si possa escludere un raddoppiamento delle unità lagonegresi come è stato invece messo in evidenza in Lucania (Scandone, 1967). I terreni del flysch rosso e del flysch numidico della fascia occidentale sono interessati da uno stile tettonico a scaglie determinate da faglie inverse di direzione NW-SE con superfici immergenti verso SW che provocano una serie di accavalla¬ menti verso NE. Il periodo in cui è avvenuto tale scagliamento è compreso tra il Langhiano ed il Tortoniano superiore come si può dedurre dalla presenza di depositi clastici (appunto di età Tortoniano superiore) tra¬ sgressivi in netta discordanza sulle unità lagonegresi.
Lo scagliamento potrebbe essere stato provocato dal sovrascorrimento langhiano delle argille varicolori oppure potrebbe essersi originato durante il sovrascorrimento generale verificatosi con la fase tettogenetica torto- niana. Sembrerebbe quindi che nell’Appennino sannita le unità lagonegresi non siano raddoppiate e che l'unico effetto della fase langhiana sia stato, in questa porzione dell’originario bacino, il sovrascorrimento delle unità delle argille varicolori e il probabile scagliamento riscontrabile in partico¬ lare nella zona di Campobasso e Cercemaggiore.
La posizione geografica degli affioramenti delle unità lagonegresi di¬ stinte in due fasce nell’Appennino sannita può già essere indicativa per risalire alla loro posizione originaria nel bacino se si considera che queste unità sono traslate verso NW rimanendo quasi negli stessi rapporti reci¬ proci; anche nel bacino di sedimentazione i terreni della fascia occidentale potevano occupare zone più occidentali rispetto a quelli della fascia orientale.
Flysch numidico nell’ Appennino sannita 41
Determinanti, per una corretta ubicazione nel bacino, rimangono comunque gli indizi forniti dall’evoluzione sedimentaria e tettonica dei terreni ora distinti nelle due fasce. La sedimentazione nella fascia occi¬ dentale si interrompe nel Langhiano in seguito al sovrascorrimento regio¬ nale delle unità più interne sui depositi che da quarzarenitici (flysch numi¬ dico) cominciavano già ad essere arcosico-litici. Nei terreni della fascia orientale invece si ha un passaggio stratigrafìco continuo dalle quarzareniti langhiane del flysch numidico alle arenarie immature ed ai depositi calca- reo-marnosi del bacino irpino; la sedimentazione in quest’ultima area è continua quindi fino al Tortoniano. Riepilogando, mentre nella fascia occi¬ dentale i depositi successivi alla fase tettonica langhiana (depositi del ba¬ cino irpino) sono in discordanza angolare sulle coltri, nella fascia orientale la sedimentazione è continua fino al Tortoniano. In quest'ultimo periodo infatti si ha un'altra fase tettonica regionale che oltre a provocare l’interru¬ zione della sedimentazione nel bacino irpino determina ulteriori sovrascor- rimenti verso le zone esterne della piattaforma abruzzese-campana e del bacino molisano.
5. Estensione verso N del bacino lagonegrese
La sedimentazione nel bacino lagonegrese è avvenuta tra il Trias medio ed il Miocene inferiore (Scamdone, 1972; Pescatore & Ortolani, 1973). I de¬ positi più antichi, del Trias medio e Giurassico, affiorano prevalentemente in Lucania e parzialmente in Campania mentre quelli Cretacico-miocenici sono molto più diffusi in genere verso il margine orientale della catena dal golfo di Taranto a S fino all’alto Molise a N, per un tratto lungo alcune centinaia di chilometri (Fig. 4).
Attualmente le unità lagonegresi si trovano in posizione tettonica al di sopra delle unità più esterne della piattaforma abruzzese-campana, dal gruppo del Matese a N fino a Monte Alpi a S (Ippolito, Ortolani & Di Nocera, 1974), e del bacino molisano.
Il riconoscimento dei depositi del bacino lagonegrese fino nell’alto Sannio e nel Molise permette di avvalorare Tipotesi di Ippolito & Sgrosso (1972) della continuità dei depositi carbonatici della piattaforma campano¬ lucana fino nei Monti Lepini e Aurunci orientali nel Lazio. Rimangono ancora aperti i problemi della probabile ulteriore prosecuzione verso N oltre il Lazio e verso S oltre il golfo di Taranto del bacino lagonegrese e della ubicazione dell’area da cui provenivano le quarzareniti.
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Fig. 4. — Aree di affioramento delle unità lagonegresi (tratteggio obliquo) del flysch numidico (punteggiato) nell'Appennino meridionale.
FOSSA
Flysch numidico nell’ Appennino sannita 43
La presenza del flysch numidico alla sommità delle successioni del gruppo di Monte Moschiaturo permette di attribuire questi terreni alle unità lagonegresi e non già alle facies di transizione tra piattaforma del Matese e bacino molisano. Anche le alternanze calcareo-marnose dell’unità S. Croce di Selli (1962) vengono così correlate con il membro calcareo marnoso del flysch rosso.
Il riconoscimento del flysch numidico e quindi delle unità lagonegresi nell'alto Sannio permette tra l’altro di delineare una evoluzione geologica dell’Appennino sannita del tutto simile a quella proposta di recente per l'Appennino campano-lucano.
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Considerazioni sul significato ambientale e sul ruolo paleotettonico della Rocca Busambra (Sicilia)
Nota dei soci Giuseppe Giunta (*) e Vincenzo Liguori (**)
(Tornata del 25 aprile 1975)
Riassunto. — La dorsale della Rocca Busambra è costituita da tre unità tet¬ toniche messe in posto nel Miocene medio-superiore con vergenza meridionale.
L’interpretazione tettono-sedimentaria delle facies affioranti pone paleogeo- graficamente quest'area al margine meridionale dei « seamounts » trapanesi con transizione al Bacino Sicano.
L'evoluzione paleotettonica di questo margine, dal Lias sup. all'Eocene, mostra in tempi via via successivi un avanzamento verso quadranti settentrio¬ nali del Bacino Sicano a scapito della zona dei « seamounts » trapanesi.
Abstract . — The Rocca Busambra mountain is constitued by three tectonic units placed in middle-upper Miocene, with southern vergence.
The tectonic-sedimentary interpretation of thè facies sets paleogeographi- cally this area in thè southern margin of thè Trapanese seamounts with tran- sition to Sicano Basin.
The paleotectonic evolution of this margin, from Upper Lias to Eocene, displays gradually a progress nortward of Sicano Basin to thè detriment of thè area of thè Trapanese seamounts.
Premessa
Il presente lavoro rientra nel quadro delle ricerche che da tempo gli scriventi conducono sull'evoluzione delle « zone esterne » della Sicilia, in correlazione con l'Appennino meridionale e con l'Africa del Nord. In particolare, lo studio geologico dei Monti Sicani (1975, in stampa), ese¬ guito in collaborazione con P. Scandone, ha portato a definire e perfe¬ zionare il modello palinspastico già proposto in Giunta e Liguori 1972,
(*) Servizio Geologico e Geofisico della Sicilia. Via M. G. Pernice 3, Palermo.
(**) Istituto di Geologia dell'Università. Corso Turkory 131, Palermo.
46 G. Giunta e V . Liguori
1973; Scandone, Radoxcic, Giunta e Liquori 1972; Scandone, Giunta e Li¬ quori 1974.
Le ragioni che hanno portato a rendere noti i dati e la relativa in¬ terpretazione su zone così limitate, quale quella oggetto della presente comunicazione, favorendo così il proliferare di pubblicazioni a carattere locale di cui è già satura la letteratura geologica, sono state quelle di rianalizzare una situazione quasi dogmatica tra gli studiosi di geologia siciliana e di criticarne, ove necessario, teorie ed ipotesi affrettate e poco confortate da studi regionali metodologicamente validi.
La Rocca Busambra forma una stretta dorsale calcarea che si sviluppa per circa 16 Km in direzione grosso modo Ovest-Est, a dividere i Monti di Palermo a Nord dai Monti Sicani a Sud. Rappresenta, come i rilievi che la circondano, un elemento alloctono messo in posto nel Miocene medio-superiore, con vergenza meridionale. Essa è stata considerata una unità di « facies trapanese », basandosi su numerosi lavori, per lo più di ordine paleontologico, eseguiti sulla metà occidentale della dorsale e -che hanno portato a generalizzare questa interpretazione su tutta la dorsale stessa.
Per primi alcuni autori francesi riconoscono due facies, una orientale ed una occidentale, distinte a determinati livelli stratigrafici, di cui for¬ niscono interpretazioni poco verosimili, rimanendo ancorati ad un modello per molti versi superato dalle più recenti ricerche.
Lo studio geologico degli scriventi, eseguito nell’area in oggetto, ha portato al riconoscimento di tre unità tettoniche, allineate in senso grosso modo WNW-ESE e separate da superfici fortemente inclinate verso qua¬ dranti settentrionali, che per le zone di contatto presentano un anda¬ mento circa NE-SW che rapidamente assume un andamento E-W verso le zone occidentali.
Esse sono, dall in terno verso l’esterno:
— Unità Rocca Busambra p. d.;
— Unità Portella del Vento;
. Unità Pizzo Marabito.
Nell’unità di Rocca Busambra p. d. sono state studiate le sezioni Busambra Ovest e Busambra Est; nell'unità Portella del Vento è stata studiata la sezione Portella del Vento Ovest; nell’unità Pizzo Marabito la sezione omonima.
L’analisi delle facies e la interpretazione ambientale e tettono-se- dimentaria delle stesse hanno permesso un più dettagliato inserimento di queste aree nel modello palinspastico relativo alle « zone esterne » della
Paleotettonico della Rocca Busambra ( Sicilia ) 47
Sicilia, e precisamente al margine meridionale dei .« seamounts » trapanesi con chiare transizioni al Bacino Sicario,
L’unità Rocca Busambra p. d. è in parte ascrivibile alla zona paleo¬ geografica dei « seamounts » trapanesi; nelle sue terminazioni occidentale ed orientale sono stati riconosciuti profondi canyons d’erosione che evi¬ denziano la presenza di un margine piuttosto attivo fino all'Eocene della zona paleogeografica suddetta.
Fic. L — Schema strutturale della dorsale della Rocca Busambra, I numeri ac¬ canto alle tracce delle sezioni si riferiscono ai capitoli del testo in cui sono descritte le sezioni stesse.
Nell'unità Portella del Vento è stato ancora riconosciuto il margine in questione, in posizione strutturale più ribassata e attivo fino al Cre¬ taceo Slip.,
L’unità Pizzo Marabito rappresenta un margine più antico, probabil¬ mente fino al Maini,
I sedimenti depositatisi nelle zone marginali suddette e che hanno colmato i canyons d’erosione, presentano delle spiccate analogie con quelli del Bacino Sicano, sono direttamente correi abili con essi e quindi da riferire al fianco interno del bacino stesso.
Sembra in conclusione dimostrata una progressione del Bacino Sicano verso Nord, che, grazie alla tettonica sinsedimentaria, a partire dal Lias sup. tende a guadagnare zone sempre più interne dei « seamounts » tra¬ panesi fino all'Eocene, conferendo alla Rocca Busambra un molo paleo* tettonico regionale di primo ordine.
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ANALISI DELLE SEQUENZE 1) UNITÀ BUSAMBRA p.d.:
1.1) Sezione Busambra Ovest: dal basso verso l’alto:
a) calcari bianco avorio, a ciclotemi lof critici, del tipo « calcare massiccio » appenninico; Età: Trias sup.-Lias medio. Spessore: 400 metri circa.
A luoghi, in disconformità geometrica, seguono:
b ) calcareniti beige ad entrochi. Età: Lias sup.-Dogger. Spessore: qualche metro, variabile.
In paraconformità geometrica sulTintervallo b), o in disconformità sull’intervallo a) seguono:
c ) calcari e calcareniti di colore variante dal beige al nocciola e al rossastro con una ricca fauna ad ammoniti, belemniti, aptici, etc. A varie altezze si notano sottili croste limonitiche e di manganese. I sud¬ detti calcari verso l'alto assumono un’aspetto nodulare e alle tinte pre¬ cedenti può aggiungersi il verdastro. Nella parte più alta della loro serie i calcari nodulari contengono calpionelle. Nei terzi inferiore e medio della sequenza si notano livelli a frammenti di tufiti e lave basaltiche. Età: Dogger-Malm sino al Titonico sup. Spessore: qualche decina di metri.
Gradualmente si passa a:
d) calcari a grana fine con selce, di tipo maiolica o lattimusa, di colore verdastro o biancastro, con aptici, brachiopodi e calpionelle. Età: Titonico sup .-Cretaceo inf. Spessore: da 10 a 20 metri.
Passanti a:
e) calcari marnosi e marne calcaree, di colore dal biancastro al rosa e al rossastro, del tipo scaglia, a globotruncarie. Presenza di livelli di slumps brecce. Età: Cretaceo sup. Spessore alcune decine di metri.
I livelli b), c ), d ), e) possono trovarsi sotto forma di filoni sedimentari nell’intervallo a). Nella troncatura occidentale della dorsale della Rocca Busambra l’intervallo e) poggia direttamente, in disconformità geometrica, sui calcari deH’intervallo a).
Dal punto di vista del significato tettono-sedimentario ed ambientale la sequenza descritta mostra in basso dei depositi ben noti in Sicilia
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occidentale ed in Appennino meridionale, tipici di un ambiente di piat¬ taforma con caratteristiche neritiche di mare molto sottile persistente dal Trias sup. al Lias medio.
Gli intervalli b) e c) rappresentano depositi sedimentatisi in un am¬ biente pelagico instauratosi a partire dal Lias sup. a seguito del progres¬ sivo « annegamento » della piattaforma carbonatica triassico-liassica. Le
Fig. 2. — - Colonne stratigrafiche delle sezioni rilevate lungo la dorsale della Rocca Busambra. I numeri al di sotto dei nomi delle località si riferiscono ai capitoli del testo in cui sono descritte le sezioni stesse. Le lettere sulla sinistra di ogni colonna stratigrafica si riferiscono ai livelli de¬ scritti nel testo relativamente a ciascuna colonna.
variazioni laterali dei suddetti intervalli e la presenza di torbiditi pela¬ giche evidenziano una morfologia del fondo marino piuttosto acciden¬ tata, con alti e bassi strutturali provocati dalle faglie che sezionano la originaria piattaforma. In generale questi depositi vengono riferiti ad un amibente da « seamounts »( Jenkyns e Torrens, 1971), intendendo con que-
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sto termine degli altofondi irregolari e variamente collegati da zone più collassate.
Gli intervalli d ) ed e) sono da riferire ad un ambiente più schietta¬ mente pelagico. La morfologia del fondo è più uniforme anche se locali irregolarità dovevano persistere per permettere la formazione di slumping e di torbiditi pelagiche.
Fig. 3. — Estremità occidentale della dorsale della Rocca Busambra. Canale d'ero¬ sione inciso nei calcari a ciclotemi loferitici del Lias (li) e colmato da calcari marnosi di tipo scaglia del Cretaceo sup. (s), di facies trapanese.
In generale quindi, da un ambiente di piattaforma (Trias sup.-Lias medio), a causa dell’annegamento di quest'ultima ad opera della tettonica sinsedimentaria, si passa ad un ambiente pelagico da « seamounts » (Lias sup.-Malm); infine si passa ad un ambiente più spiccatamente pelagico, da pianura batiale (Titonico-Cretaceo sup.).
Lungo lo spessore della successione descritta si sono notate locali lacune che sono da riferire a lacune erosionali più che a lacune diaste- miche, di cui la più rappresentativa è quella che porta i calcari dell'in- tervallo e) a depositarsi direttamente su quelli deH'intervallo a), all'estre¬ mità occidentale della dorsale della Busambra, interpretabile quindi come un canyon d'erosione impostato sui calcari liassici, almeno a partire dal Dogger e colmato da sedimenti cretacei in facies di scaglia.
Paleotettonico della Rocca Busambra ( Sicilia ) 51
1.2) Sezione Busambra Est:
Dal basso verso l'alto:
a) calcari bianco avorio, a ciclotemi loferitici del tipo « calcare massiccio » appenninico. Verso l'alto questi calcari si presentano estre¬ mamente fratturati e brecciati. Età: Trias sup.-Lias medio. Spessore: 300-400 metri.
A luoghi in paraconformità e generalmente in disconformità geome¬ trica, seguono:
b) brecce e conglomerati a matrice quasi del tutto assente, a grossi elementi costituiti da calcari dell'intervallo a). Spessore: variabile, da qualche metro a una decina di metri.
Fig. 4. — Sezione Busambra Est vista da Nord-Est. Canale di erosione inciso nei calcari a ciclotemi loferitici del Lias (li) e colmato da brecce e conglo¬ merati del Cretaceo sup. (c) seguite da calcari marnosi di tipo Scaglia del Cretaceo sup.-Eocene (s), di facies sicana.
52 G . Giunta e V . Liguori
Seguono in paraconformità:
c) calcari e calcari marnosi biancastri o rosati tipo scaglia a globorotalie, con turbazioni, laminazioni e sottili intercalazioni calcareni- tiche. Età: Eocene. Spessore: qualche decina di metri.
2) UNITA PORTELLA DEL VENTO:
LI) Sezione Portella del Vento Ovest:
Dal basso verso Paltò:
a) calcari bianco avorio, a ciclotemi loferitici, verso l'alto intensa¬ mente fratturati e brecciati, fino ad assumere a luoghi l'aspetto dell’in-
Fig. 5. — Sezione Busambra Est vista da sud-est. In primo e secondo piano l’unità Portella del Vento in cui affiorano calcari marnosi tipo scaglia del Cretaceo sup .-Eocene di facies sicana con intercalazioni di calca- reniti e brecce (esc); sullo sfondo l'unità Rocca Busambra; la linea tratteggiata indica la superficie di separazione tre le due. La linea continua indica la superficie d'appoggio delle brecce e dei calcari tipo scaglia del Cretaceo sup. Eocene (cs) che colmano il canale d'ero¬ sione inciso nel calcare del Lias (li).
tervallo b) della successione precedente. Età: Trias sup.-Lias medio. Spes¬ sore: 50 metri circa.
Paleotettonico della Rocca Busambra ( Sicilia ) 53
In paraconformità geometrica seguono:
b) calcari e calcari marnosi rossastri tipo scaglia» a globotruncane, con intercalazioni di calcareniti e brecciole gradate, sempre più numerose man mano che ci si sposti verso Est. Età: Cretaceo sup. Spessore: alcune decine di metri.
In paraconformità e a luoghi in disconformità seguono:
c ) brecce e conglomerati, a scarsa matrice, a elementi grossolani costituiti prevalentemente da calcari dell'intervallo a). La matrice, quando è presente, è costituita da calcari marnosi tipo scaglia. Spessore: variabile da qualche metro ad una decina di metri.
In paraconformità seguono:
d ) calcari marnosi tipo scaglia, biancastri o rosati, a globorotalie, con turbazioni» laminazioni e intercalazioni di calcareniti gradate. Età: Eocene. Spessore: parecchie decine di metri.
L’analisi delle facies delle due successioni descritte mostra la presenza in queste aree, della piattaforma carbonatica triassico- liassica rappre¬ sentata dai terreni deH’intervallo a).
Lungo un contatto generalmente ondulato seguono le brecce dell’in¬ tervallo b) nella sezione Busambra Est. Tra i due intervalli esiste una lacuna erosionale che va dal Lias medio-sup. al Cretaceo superiore. I terreni dell’intervallo b) rappresentano depositi di riempimento di un canyon sottomarino instauratosi già dal Lias sup. e attivo sino al Cretaceo superiore. I conglomerati e le brecce di riempimento del canyon prendono la loro origine dallo smantellamento di parti della piattaforma triassico- liassica, lungo margini della stessa creati dalla tettonica sinsedimentaria. A seguito del riempimento del fondo del canyon con i materiali gros¬ solani dell’intervallo b)s si instaura una sedimentazione pelagica general¬ mente torbiditica. I terreni dell’intervallo c), infatti sono generalmente da riferire a torbiditi pelagiche fini.
Nella sezione Portella del Vento Ovest, si è in presenza di una zona strutturalmente più ribassata della precedente. Si nota infatti come a luoghi sui terreni di piattaforma carbonatica si depositino brecce di riempimento di canyons di età Cretaceo med.-sup. La sedimentazione prosegue con torbide pelagiche del Cretaceo sup. (intervallo b); un nuovo orizzonte di brecce rappresentato dall’intervallo c ), correiabile con l'in¬ tervallo b) della sezione precedente, denota un arretramento a monte delle testate del canyon. Nell’Eocene poi riprende la sedimentazione pe¬ lagica sotto forma di torbiditi pelagiche (intervallo d), nelle quali a luoghi si inseriscono livelli di torbide miste.
54 G. Giunta e V. Liguori
3) UNITÀ PIZZO MARABITO:
3.1) Sezione Pizzo Marabito:
Dal basso verso l’alto:
a) calcari bianco avorio, a ciclotemi loferitici, generalmente frat¬ turati e brecciati, con una fitta rete di filoni sedimentari costituiti da calcareniti rossastre ad entrochi o da calcari vinaccia ad ammoniti di età variabile dal Lias sup. al Dogger-Malm inf.
Fig. 6. — Unità di Portella del Vento. Brecce di riempimento dei canali; gli elementi sono costituiti da calcari chiari del Lias, la matrice da cal¬ cari marnosi rossi tipo scaglia del Cretaceo sup.
In disconformità geometrica seguono:
b ) calcareniti finissime e calcari a radiolari, di colore variante dal vinaccia al verdastro e al giallastro, quasi del tutto silicizzate. Età: Malm. Spessore: qualche metro.
In continuità e con passaggio graduale seguono:
c) calcari e marne calcaree di colore verdastro, tipo lattimusa, con aptici e nella parte alta calpionelle. Presenza di selce e di livelli di slumps brecce ad aptici. Età: Malm sup.-Cretaceo inf. Spessore: poche decine di metri.
Paleotettonico della Rocca Busambra ( Sicilia ) 55
Seguono:
d) calcari e calcari marnosi biancastri o rosati, tipo scaglia, con glo- botruncane e nella parte alta globorotalie. Presenza di turbazioni e a luoghi laminazioni. Si notano a varie altezze intercalazioni di livelli più grossolani. Età: Cretaceo sup.-Eocene. Spessore: parecchie decine di metri.
Questa sequenza mostra ancora la presenza della piattaforma carbo- tica triassico-liassica. I filoni sedimentari riempiti da terreni del Lias sup.-Dogger mostrano che anche questo settore della piattaforma è stato
Fig. 7. ----- Unità Pizzo Marabito e sezione omonima vista da est. In basso calcari a ciclotemi loferitici del Lias (li) seguiti, lungo una superficie ondu¬ lata, da calcareniti e calcisiltiti silicizzate, calcari marnosi ad aptici e calpionelle con intercalazioni di livelli irregolari di slumps brecce (sci) del Malm-Cretaceo inf., di facies sicana.
frazionato dalla tettonica sinsedimentaria ed è stato interessato dalla se¬ dimentazione di tipo « seamounts » nel Lias sup.-Dogger che si riscontra solo nei filoni. La lacuna che separa l'intervallo a) dal b) è quindi una lacuna erosionale. I terreni deH’intervallo b) rappresentano sedimenti ascrivibili a torbide pelagiche quasi completamente silicizzate. L'ambiente pelagico prosegue nel Malm sup. e nel Cretaceo-Eocene, intervalli c) e d), con depositi generalmente costituiti da sedimenti pelagici per lo più do¬ vuti a depositi torbiditici pelagici o misti e da slumps brecce.
56 G. Giunta e V. Liguori
IL RUOLO PALEOTETTONICO DELLA ROCCA BUSAMBRA
Dall’analisi delle sequenze sopra descritte, rappresentative di tre unità oggi tettonicamente a contatto tra loro a costituire la dorsale della Rocca Busambra, si evince il fatto che esse rappresentano, a vari livelli strati¬ grafici, l’evoluzione di un’area di transizione tra due zone paleogeografiche a comportamento paleotettonico generalmente distinto. Come detto in pre¬ messa, la Rocca Busambra è un elemento alloctono a vergenza meridio¬ nale. Per ovvie ragioni di geometria le tre unità riconosciute vengono pa- leogeograficamente a disporsi dall’interno verso l'esterno nel modo se¬ guente: Rocca Busambra p.d., Portella del Vento, Pizzo Marabito.
I contatti tettonici miocenici sono probabilmente avvenuti lungo linee di originaria discontinuità, e quindi si può supporre che si sia avuto un raccorciamento delle distanze palinspastiche esistenti tra i vari settori a facies differenti. Definire quantitativamente l’entità di tale raccorcia¬ mento è un problema i cui risultati, con i dati a disposizione, risulte¬ rebbero discutibili.
L'unità più settentrionale (Rocca Busambra p.d.) presenta facies e relative caratteristiche tettono-sedimentarie tali da indiscutibilmente ascri¬ verla alla zona paleogeografica del Bacino Trapanese (Giunta e Liguori 1972, 1973) o meglio alla zona dei « seamounts » trapanesi (Scandone, Giunta e Liguori 1974). Il settore orientale di codesta unità (Busambra Est) e l'unità Portella del Vento presentano caratteri di transizione al¬ l'unità più meridionale o sud orientale (Pizzo Marabito), la quale a par¬ tire dal Malm ha delle strettissime analogie con la zona paleogeografica del Bacino Sicano (Giunta e Liguori 1972, 1973; Scandone, Giunta e Li- guori 1974; Giunta, Liguori 1 Scandone 1975). Le principali tappe dell'evo¬ luzione tettono-sedimentaria dell’area oggetto di questo studio dovrebbero essere le seguenti, dal Trias sup. all'Eocene: Nel Trias sup.-Lias medio si è in presenza di una vasta area di piattaforma carbonatica rappresen¬ tata dai calcari a ciclotemi loferitici, bordata a Nord dal Bacino Imerese e a Sud dal Bacino Sicano.
Le porzioni settentrionale, centrale e meridionale della piattaforma stessa presentano in periodi successivi evoluzioni tettono-sedimentarie di¬ verse; per quanto riguarda le prime due si rimanda a Giunta e Liguori 1972, 1973; Scandone, Radoicic, Giunta e Liguori 1972; Scandone, Giunta e Liguori 1974; la porzione meridionale e l'adiacente Bacino Sicano vengono studiati in dettaglio in Giunta, Liguori e Scandone 1975.
I terreni del Trias sup.-Lias medio, affioranti lungo la dorsale della Rocca Busambra, corrispondono alle zone meridionali e/o sud orientali
Paleotettonico della Rocca Busambra ( Sicilia ) 57
della suddetta piattaforma, la quale, a partire dal Lias sup. è sede di un’intensa tettonica sinsedimentaria a carattere tensivo che interrompe la sedimentazione neritica di mare sottile. Profonde faglie frazionano in questo periodo questo grosso corpo carbonatico, creando alti e bassi strutturali su cui si instaura una sedimentazione di tipo « seamounts », con depositi ammonitici condensati o nodulari, che prosegue sino al Malm Slip. (Busambra Ovest). Più a sud la tettonica sinsedimentaria crea dei compartimenti separati da faglie a rigetti maggiori. In queste zone co¬ mincia ad impostarsi un margine piuttosto attivo, soggetto a notevole erosione (Busambra Est Portella del Vento). Ancora più a sud o più ad oriente un settore tende a mantenersi prima più elevato e a ricevere la sedimentazione da « seamounts » nel Dogger, per poi nel Malm subire un ulteriore collasso fino ad una profondità tale da ricevere finissime torbide pelagiche a Radiolari che vengono silicizzate (Pizzo Marabito). Evidente¬ mente quest'ultima zona doveva trovarsi ad una distanza, a sud del mar¬ gine della piattaforma e/o più ad oriente, tale da permettere nel Malm la sedimentazione tipica di questo periodo nel Bacino Sicano.
Nel Titonico-Cretaceo ini., nella zona settentrionale si instaura un am¬ biente pelagico da pianura batiale a morfologia del fondo piuttosto uni¬ forme, mentre in quella più meridionale e/o orientale la sedimentazione è pure pelagica, più profonda della prima, e a morfologia del fondo on¬ dulata. Nelle zone di margine continua attiva l'erosione dei terreni della piattaforma carbonatica triassico-liassica.
Nel Cretaceo sup.-Eocene, sembrerebbe di assistere ad una banalizza¬ zione delle facies tra il settore settentrionale (Rocca Busambra Ovest) trapanese e quello meridionale (Pizzo Marabito) sicano. I depositi di tipo scaglia sono a prima vista simili, ma le caratteristiche di facies li diffe¬ renziano notevolmente: nelle zone dei « seamounts » trapanesi si tratta di depositi pelagici da pianura batiale in cui la morfologia del fondo fa¬ vorisce talora la formazione di slumps brecce o di rare torbid i li pelagiche; nelle zone del bacino sicano si tratta sempre di depositi pelagici, ma più profondi dei primi e costituiti quasi esclusivamente da torbidi ti.
Nelle zone intermedie, strutturalmente più ribassate (Portella del Vento) si ha una tendenza alla attenuazione dell’attività erosiva: nel Cre¬ taceo sup. esse ricevono prima le brecce ad elementi triassico-liassici, a colmare gli originari canyons sottomarini, e poi le torbidi ti pelagiche in facies scaglia del tipo del Bacino Sicano. Segue, nel Cretaceo sup.- Eocene, un nuovo intervallo di brecce ad elementi Dentici, correiabile con i depositi che colmano le testate affioranti dei canyons nelle zone strutturalmente più elevate (Busambra Est), segno che l'attività erosiva
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sui margini si è spostata più verso monte. In ambedue le zone descritte si assiste nell'Eocene alla sedimentazione di torbiditi pelagiche in facies scaglia di tipo sicano, spesso interrotte da torbiditi miste.
Nell'estremità occidentale della Rocca Busambra è riconoscibile una sezione molto ben conservata di un canyon inciso sui calcari neritici del Trias sup.-Lias medio e colmati da sedimenti di tipo scaglia in facies trapanese del Cretaceo sup. La testata di questo canyon si trova a qualche centinaio di metri dalla sezione Busambra Ovest, e quindi in piena zona dei « seamounts » trapanesi, da cui si deduce che il margine di questa zona paleogeografica è stato soggetto ad erosione attiva anche in aree piuttosto interne, nelle quali, come in questo caso, si è successivamente ripristinata la sedimentazione simile a quella della zona paleogeografica di appartenenza.
Ritenendo oltremodo scarsi e poco validi i dati a disposizione sulle direzioni di apporto, i quali probabilmente non rispecchiano una situa¬ zione reale a causa delle rotazioni subite dai blocchi interessati dalle fasi tettoniche compressive che si sono avvicendate a partire dal Miocene nella zona, le possibili interpretazioni sull'andamento morfologico in pianta del margine identificato in questo studio, rimarrebbero inevitabilmente in un campo meramente speculativo.
In conclusione, i dati raccolti ed esaminati più sopra, permettono di analizzare nelle sue fasi principali l'evoluzione, dal Trias sup. all'Eo¬ cene, di una fascia di transizione dalla zona dei « seamounts » trapanesi a quella del Bacino Sicano. Fino al Lias medio l’area in studio rientra nelle zone trapanesi; dal Lias sup. si individua una margine soggetto a notevole attività erosiva fino al Cretaceo sup. e all’Eocene; il Bacino Si¬ cano comincia con il Malm a guadagnare zone sempre più interne dei « seamounts » trapanesi, partendo dalle porzioni strutturalmente più ri¬ bassate e nel tempo via via più lontane dalle grosse gradinate create dalla tettonica sinsedimentaria e che interessano zone progressivamente più interne.
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Attività vulcanica recente nelle isole W estman naeyj ar (Islanda) *
Nota della socia Maria Cristina Castellano
(Tornata del 25 aprile 1975)
Riassunto. — Il gruppo delle isole Westmann appartiene ad una vasta zona di attività vulcanica post-glaciale denominata « Neovulcanic zone ». Questo arci¬ pelago è localizzato all'estremità della faglia che congiunge la dorsale medio¬ atlantica con la zona vulcanica orientale dellTslanda. La fessura apertasi il 23 gennaio 1973 sull'isola di Heimaey appartiene ad un vasto sistema di fratture il cui asse di massima compressione ha direzione N 45° E perpendicolare alla dorsale atlantica a quella latitudine. L'attività eruttiva dell'Heldfell ha avuto caratteristiche tipicamente stromboliane con alternarsi di fasi.
Di particolare importanza sulla distribuzione delle scorie è stato il vento che ha trasportato il materiale piroclastico principalmente sulla città. L'eru¬ zione è avvenuta in maniera improvvisa e imprevedibile data anche la deficienza di mezzi tecnici a disposizione.
Summary. — The Westmann Islands lie on thè seaword extension of thè eastern volcanic zone of Iceland, a narrow zone of post-glacial activity named « Neovolcanic zone ». This group of Islands is thè eastern end of thè south Iceland trasform foult which connects thè mid-atlantic ridge to thè eastern volcanic zone in Iceland.
The strike of thè january 23rd fissure on Heimaey belongs to a large stress System whose maximum tension axis has a direction N45W, perpendicular io thè ridge in this latitude.
The activity of Heldfell is typically stronbolian. Wind strength was criticai in determining thè direction of scoria fall over thè town.
The eruption started suddenly and it was unforeseeable because of technical means of that country.
La particolare disposizione geografica, a cavallo della dorsale medio¬ atlantica, conferisce allTslanda un ruolo molto importante nello studio delle creste medio-oceaniche e della teoria mobilistica in generale. Questa
(*) La presente ricerca è stata eseguita grazie anche al contributo del C.N.R.
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terra appartiene, tradizionalmente, alla cosiddetta « Thulean Basalt Pro¬ vince », vasta piattaforma marina profonda 200-300 m, resto di un antico massiccio basaltico di cui fanno parte anche la Scozia, le isole Faeroes e
Foto 1. — Visione aerea della nera colonna di fumo, ceneri e lapilli che si solleva dal cratere dell'Heldfell.
la Groenlandia. In generale si considera l’Islanda come facente parte della più vasta provincia dei basalti oceanici (Thorarinsson, 1973).
L’Islanda si presenta come un immenso tavolato formato da banchi di rocce basaltiche quasi orizzontali distinti in due serie: la più antica si ritiene formata da processi eruttivi contemporanei al corrugamento terziario e risulta caratterizzata da intercalazioni sabbiose ed argillose di
Foto 2. — Parte del vasto sistema di pompe che prelevando acqua dal mare la proiettano sul fronte lavico raffreddandolo. È la prima volta, nella storia delle eruzioni nel mondo, che viene usato un simile sistema di difesa contro il flusso lavico avanzante.
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acqua dolce e strati di lignite; la sede superiore, formata da banchi di basalti intercalati a morene e depositi fluvio-glaciali, è dovuta all'azione combinata dei ghiacciai e dei vulcani dal Pliocene a tutto il Quaternario.
Foto 3. — Fotografia aerea della situazione tra Febbraio e Marzo. La parte orien¬ tale della città è in parte sommersa dalla lava.
Al centro dell’isola, con inclinazione NE-SW, si estende la zona di maggiore attività sismica e vulcanica chiamata « Neovulcanic zone » (Fig. 1) risalente al Terziario, all’epoca delle grandi dislocazioni che, fra l’altro, hanno dato origine alle baie di Breidafyordhur e Faxafloi. Questa zona
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 65
si continua direttamente a SW con la dorsale di Reykjanes, a NE con la cresta di Jan Mayen e, per tutta la sua estensione al centro dell'Islanda, è fiancheggiata da piattaforme basaltiche del Quaternario limitate, a loro
Foto 4. — Case della zona orientale della città, più vicine al cratere.
volta, verso l'esterno, da vaste coperture basaltiche del Terziario (Fig. 1) che costituiscono la più antica formazione geologica dell'Islanda.
I principali sistemi di fratture islandesi e la stessa « Neovulcanic zone » trovano riscontro nelle anomalie magnetiche intorno alla dorsale di Reykjanes. Infatti, le tre zone vulcaniche attualmente attive, corri¬ spondenti alla regione dello Sneafelness, alla penisola di Reykjanes e
5
66 M. C. Castellano
DEPOSITI ALLUVIONALI
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 67
alla parte più orientale della cintura neovulcanica, seguono l’andamento degli assi delle anomalie magnetiche (Fig. 2). Le deviazioni subite da questi assi, a seguito delle forze di tensione operanti in Islanda, sono praticamente parallele fra loro e ciò fa supporre una contemporaneità, in senso geologico, nell’azione di queste forze (Trausti Ejnarsson 1965).
L’espressione più originale del vulcanismo islandese è rappresentata da vari crateri attivi ricoperti da cupole ghiacciate che danno luogo, a volte, a catastrofiche correnti di fango o « lahars ». Numerosi sono pure i vulcani centrali con la particolare struttura a scudo come l'Hekla e il Katla che presentano attività ritmica con emissione di prodotti acidi. L'Hekla, pur essendo rappresentato da un cono vulcanico di lava e tufo, è formato da una serie di crateri disseminati lungo una linea lunga 5 Km (S. Thorarinsson, 1967). Le eruzioni più caratteristiche ed anche le più frequenti sono quelle lineari che si sviluppano lungo fessure di dimensioni variabili fino a qualche decina di chilometri.
La direzione di queste aperture è essenzialmente NE-SW, nella parte meridionale dell’Xslanda, mentre diventa meno obliqua, cioè tendente pre¬ feribilmente a nord, nella parte settentrionale. Caratteristica di queste linee eruttive è quella di non essere continue ma di presentare una serie di fratture secondarie di forma lenticolare, disposte a scala, con larghezza al centro di circa un metro, che formano, con la direzione principale di frattura, angoli intorno ai 10°.
A poche miglia dalla costa meridionale dell'Islanda si trova un gruppo di isole, coprente una area di circa 700 Kmq, che forma l'arcipelago delle Westmannaeyj ar .
L’isola più conosciuta è il Surtsey sorta dal mare in seguito ad una eruzione sottomarina che, iniziata il 14 novembre 1963, si concluse nel 1967.
Durante i primi quattro mesi furono emessi circa 400 milioni me di materiale vulcanico, corrispondente a quasi 40 me al secondo. Col mate¬ riale emesso, che fu abbondantissimo, emersero dal mare tre piccole isole delle quali una, Surtsey, riuscì a vincere la forza distruttrice del mare.
Fintanto che il mare riusciva a penetrare nel cratere del Surtsey, si manifestarono lanci di ceneri e pomici ma, quando risola divenne grande abbastanza, incominciò la fase effusiva con grosse emissioni di lava.
Secondo Svein Jakobsson (1968), il meccanismo di formazione delle Westmann è proprio quello verificatosi per il Surtsey.
La formazione dell’isola di Heimaey, particolare oggetto di questo studio, in quanto sede della più recente eruzione lineare islandese, rientra nel quadro su indicato. Essa è costituita di materiale prodotto da una
68 M. C. Castellano
Fig. 2. — Gli assi di anomalie magnetiche e loro particolare parallelismo con assi delle zone di massima attività sismica e vulcanica.
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 69
serie di potenti eruzioni avvenute nel cratere del Saefjell (Fig. 3) circa seimila anni fa (Jacobsson, 1968). Questa bocca vulcanica, dal diametro di 1 Km, ebbe un’attività intensa ma breve e le effusioni di lava con-
Fig. 3. — L’isola di Heimaey. La zona di più recente formazione è quella scura nel disegno.
tinuarono da una spaccatura sul fianco settentrionale del cratere dove si formò l’edificio vulcanico dell’Helgafell alto 227 m. Nessun altro fe¬ nomeno eruttivo si manifestò nell’isola fino al 1973 quando in gennaio
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una nuova eruzione ha determinato il sorgere di un altro cono vulcanico, l’Heldfell, alto 225 m e ha ingrandito l’isola portando le sue dimensioni da 12 Kmq a 14,5 Kmq (Fig. 3).
Tra le 01,50 e le 02,00 del 23 gennaio, a circa 200-300 metri dalla parte orientale della città di Westmannaeyj ar, sul lato est dell'edificio del- l’Helgafell, si aprì improvvisamente, in direzione N 17°E, una fessura larga 2-3 metri e lunga 1500 m composta, a sua volta, da una serie di piccole fessure secondarie con direzione N 24°E.
X
FIG. 4. — Grafico delle relazioni esistenti tra il raggio massimo dei proietti, (r), l'altezza raggiunta nelle proiezioni (fi) e distanza dal centro di emis¬ sione (x). Variazione del prodotto x V r .
Da 15-20 bocche crateriche, individuabili lungo la fessura, venivano continuamente lanciati lava incandescente, ceneri, bombe, lapilli. Il 25 gennaio tutta l’attività si centralizzò in un gruppo di tre crateri a 500 m dall'estremità nord della fessura e a circa 800 m a NE dairHel'gafell. Durante i primi giorni si verificarono tremende esplosioni con lanci di materiale fino a 700 m di altezza mentre una nera colonna di fumo, gas, ceneri si ergeva dal cratere fino a 9 Km di altezza (foto 1). Talvolta, du¬ rante una esplosione particolarmente violenta, molto materiale si accu¬ mulava aH’interno del cratere ostruendolo parzialmente, finché la pres-
bufile ao di Scosse re* oa.a
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 71
Fig. 5. — Grafico del numero di scosse per ora registrate dagli apparecchi.
72 M. C. Castellano
sione interna dei gas non riusciva a liberare il condotto lanciando in aria una densa nuvola di materiale finissimo. Questo spiega la presenza occa¬ sionale di letti di materiale sottile intercalati ai normali depositi di sabbie vulcaniche più grossolane cioè con diametro superiore a 1-2 mm.
Q
Fig. 6. — Situazione generale delle forze antiche e nuove che agiscono nel gruppo delle westmannaeyjar e nell’isola di Heimaey in particolare.
L’attività non fu mai costante e si alternarono periodi di moderate e forte esplosioni, con grossa produzione di ceneri, a periodi di relativa calma coincidenti con un forte flusso di lava. La durata di ciascun pe¬ riodo si aggirava intorno alle 5-8 ore.
La principale direzione di scorrimento della lava era NNE e ciò rap¬ presentava un serio problema in quanto il flusso lavico minacciava di chiudere l'ingresso al porto, la più importante fonte di economia dell'isola.
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 73
A questo proposito, si riunì una commissione speciale di studiosi islan¬ desi e tecnici americani che mise subito in atto un piano per deviare il flusso lavico con la costruzione di muri di sbarramento e con l’installa¬ zione di grosse pompe idrauliche della capacità di 1 mc/s che, aspirando acqua dal mare, la gettavano contro il fronte lavico raffreddandolo (foto 2). La corrente magmatica ebbe all’inizio uno spessore variabile tra i 4 e i 20 m ed una velocità di flusso pari a 100 metri al giorno.
Da marzo in poi l'attività andò diminuendo sensibilmente; in aprile la produzione di lava era intorno ai 5 mc/s e diminuiva ancora, finché in giugno tutta l’attività eruttiva potè ritenersi conclusa.
Le analisi chimiche effettuate su campioni di lava, in date diverse, rivelarono continui cambiamenti della composizione del magma dovuti probabilmente (Jacobsson p. c., 1973) alla presenza in profondità di una camera di differenziazione. La lava eruttata il 23 gennaio presentava una percentuale di anortite (AN) pari al 25 %. Una settimana più tardi la composizione della lava divenne tipicamente « hawaitica » con un più ricco contenuto in AN. In febbraio la lava si mostrava ancora più simile a quelle hawaiane ed il contenuto di AN nei plagioclasi salì al 60 %.
Campioni raccolti nei primi giorni della eruzione presentavano un contenuto di cristalli pari al 47 % ; un così alto grado di cristallizzazione fu dovuto, probabilmente, alla alta viscosità della lava e alla sua bassa temperatura 1030° C). I minerali presenti sono in maggiore misura pla¬ gioclasi, olivina, titanomagnetite.
Nella tabella che segue sono riportate le percentuali volumetriche di plagioclasi, olivina e massa vetrosa contenute in quattro campioni pre¬ levati tra il 23 e il 24 gennaio (Thorarinsson, 1973):
Plagioclasi |
Voi. % Olivina |
Massa Vetrosa |
36,0 |
7,6 |
50,4 |
37,5 |
5,3 |
51,4 |
35,4 |
6,1 |
53,1 |
33,9 |
3,7 |
56,1 |
Di grandissima importanza per la distribuzione dei materiali piro¬ clastici sulla città, furono i venti provenienti da SE; più di 50 case crol¬ larono sotto il peso delle ceneri che avevano raggiunto, in pochi giorni, spessori variabili da 20 cm a 6 m. Dallo studio della distribuzione dei
74 M. C. Castellano
proietti sul terreno si è osservato che essa è stata determinata in modo principale, se non esclusivo, dal trasporto eolico. SulFandamento dello spessore del materiale ( h ) e del raggio massimo (r) dei proietti in fun¬ zione della distanza (*) sono stati ricavati i dati riassunti nella seguente tabella:
x (cm) |
h (cm) |
r (cm) |
V r |
* V r |
h/r |
4,1 X IO4 |
310 |
30 |
5,477 |
224557 |
10,3 |
6,0 X IO4 |
166 |
20 |
4,472 |
268320 |
8,3 |
9,0 x IO4 |
98 |
10 |
3,162 |
284580 |
9,8 |
12,8 x IO4 |
50 |
5 |
2,236 |
286208 |
10,0 |
20,7 x IO4 |
30,8 |
2,5 |
1,581 |
327267 |
12,3 |
Dalla tabella sopra riportata e dai grafici della figura 4 si deduce che:
1) le variazioni dello spessore ( h ) e del raggio massimo (r) in fun¬ zione della distanza (%) hanno andamenti paralleli per cui il rapporto h/r risulta pressoché costante con un valore medio di circa 10;
2) il prodotto x V r tende all’aumentare di % al valore massimo di
(x V r)m = 3,27. x IO5
Pertanto in base a quanto dimostrato (Casertano, 1973) si può affer¬ mare che:
1) il trasporto del materiale a distanza è avvenuto a causa del vento e, nel caso in esame, la legge valida per la resistenza del mezzo è quella di Newton (la resistenza è proporzionale al quadrato della ve¬ locità all’istante del proietto);
2) il valore del prodotto V y (con V = velocità di vento e y = altezza massima raggiunta dai proietti) è dato da:
Vy = (x V r)m 4 gp/3 kp
essendo g l’accellerazione di gravità, p la densità del proietto, p la densità dell'aria, k il coefficiente di resistenza del mezzo. Nel caso in esame può porsi: p = 2 ’g/cm3, p = 1,29 x 10~3 g/cm3, k = 0,25; si deduce che è
Fy = 3,27 x 2,9 x IO8
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 75
Accettando come altezza dei proietti la massima osservata nel corso del- Feruzione cioè 9 km si ricava per V un valore di circa 40 km/h.
L'evacuazione della città avvenne repentinamente grazie alla fortuita presenza nel porto di oltre 70 pescherecci. In sole sei ore circa 5300 per¬ sone lasciarono Fisola mentre 300 volontari rimanevano sul posto per cer¬ care di salvare principalmente le attrezzature del locale impianto di ma¬ nifattura e refrigerazione del pesce, così importante per Feconomia del¬ l’isola. Il vento non favorì le operazioni di recupero perché soffiando a tratti verso la città, trasportava con sé ceneri e lapilli incandescenti. La zona più colpita fu la parte orientale della città che andava man mano scomparendo inghiottita dalla lava o sommersa dalla cenere (foto 3 e 4).
Un altro pericolo che minacciava le squadre di soccorso era dovuto ai gas prodotti dall'eruzione, CO e C02 in particolare. In alcuni edifici al centro della città si misurò una concentrazione nell'aria di C02 pari a 87 % e di CO pari a 1,1 %.
Caratteristica di questa eruzione fu la mancanza assoluta di segni precursori quali scosse, boati, fino a pochi momenti prima che si aprisse la fessura eruttiva; d'altra parte non fu possibile identificare subito l’isola di Heimaey come il fuoco del sisma, in quanto la registrazione delle prime scosse fu fatta da due sole stazioni, una a Hestfjall e l'altra a Hefersey sulla costa meridionale dell'Islanda. L’epicentro del sisma poteva essere, con uguale probabilità, sia sull'isola di Heimaey che nell'aria vulcanica, sismicamente molto attiva, ad est della Hekla. La recente attività del- FHekla risalente al 1970 distolse l'attenzione degli studiosi dall'isola di Heimaey dove non si era avuto nessun fenomeno da circa 6000 anni. I sismografi registrarono due gruppi di scosse; il primo gruppo tra le ore 22 del 21 gennaio e le ore 12 del giorno successivo ebbe un massimo di magnitudo di 3,2, una profondità focale di 25-30 Km (Bjornsson p. c. 1973) e una frequenza di 20-30 scosse per ora (fig. n. 5). Il massimo nu¬ mero di scosse fu raggiunto tra le ore 3 e le ore 6 del 22 gennaio. È da sottolineare il particolare periodo semidiurno del primo gruppo; infatti si nota un naturale crescendo della frequenza che raggiunge il massimo intorno alle ore 6 e decresce, successivamente, fino ad assumere valori minimi intorno alle ore 12. Il secondo gruppo di scosse incominciò alle ore 22,30 del 22 gennaio. Esse ebbero profondità focale di 6 Km e una frequenza di 3-4/h. Con l'eruzione, la profondità focale diminuii a 2 Km e la frequenza aumentò a 5 scosse per ora. Un terzo gruppo, post eruttivo, fu caratterizzato da una profondità focale di 20-30 Km e da una bassa frequenza di scosse; il primo mese dopo l'eruzione si verificarono 4-10
76 M. C. Castellano
scosse al giorno, il secondo mese 3 scosse al giorno e verso la fine di maggio 1-2 al giorno. Da giugno in poi le scosse furono molto rare, 1-2 ogni 15 giorni e andavano man mano diminuendo.
La linea di frattura apertasi il 23 gennaio sull’isola di Heimaey fa parte di un sistema di fratture più vasto che investe non solo le isole
Fig. 7.
Westmann ma anche la zona neovulcanica sud orientale deli’Islanda. Tale sistema rientra nel contesto generale dei movimenti di materiale pro¬ fondo in relazione alla dorsale atlantica. Jacobsson (1967) considerò la penisola di Heimaklettur, la parte geologicamente più antica dell’isola di Heimaey, come il risultato di un’eruzione lineare subglaciale la cui dire¬ zione principale fu circa N 75° E mentre le fessure secondarie di cui era composta avevano inclinazione N 35° E. Questa eruzione avvenne lungo una zona di frattura sinistro-laterale la cui direzione è inclinata, rispetto a quella della frattura apertasi nel 1973, di circa 60°.
Thorarinsson (1966), descrivendo l'attività del Surtsey, mostrò che il sistema di fessure eruttive di quest’ultimo, che copriva una distanza di 5 Km, aveva un’inclinazione di N 65° E. Dunque, il nuovo vulcano Heldfell
Attività vulcanica recente nelle isole Westmannaeyjar 77
da un lato, la penisola di Heimaklettur e il Surtsey dall’altro costitui¬ scono un insieme di piani di frattura il cui asse di massima compressione giace in direzione N 45° E (Fig. 6), perpendicolarmente alla dorsale atlan¬ tica a quella latitudine.
Le isole Westmann rappresentano, secondo Word (1971), l’estremità orientale della faglia trasforme a sud dell'Islanda, che connette la dorsale medio-atlantica, o meglio la dorsale di Reykjanes, alla zona neovulcanica orientale. Il sistema di fratture delle Westmann si estende anche al con¬ tinente dove nella zona neovulcanica sud-orientale si trovano per la mag¬ gior parte fessure con inclinazione N 45° E. Fanno eccezione, oltre alla regione neovulcanica orientale le cui fessure hanno direzione assai di¬ versa, anche l'Hekla e il Katla le cui direzioni di frattura sono rispet¬ tivamente N 67° E e N 18° E.
Il vulcanismo delle isole Westmann presenta un meccanismo tettonico diverso da quello della zona neovulcanica orientale e tale ipotesi è avva¬ lorata da una variazione di composizione chimica dei basalti che sono alcalino divinici nelle Westmannaeyjar, di transizione nella zona intorno all'Hekla, toleitici nella zona neovulcanica orientale (Fig. 7).
Ringrazio vivamente il prof.re Casertano per avermi dato la possi¬ bilità di eseguire questo studio e per tutti i consigli che mi ha dato nelle varie fasi dello svolgimento; a tale scopo ringrazio anche i proff.ri Olivieri e Quagliariello per le discussioni avute in merito. Particolari ringraziamenti vanno pure ai proff.ri S. Thorarinsson, docente di fisica al Dipartimento di Geologia deH'Università di Reykjavik, Sveinbjòrn Bjornsson dell’isti¬ tuto di Sismologia, Svein Jakobsson, geologo al museo di Storia Naturale, per gli aiuti fornitomi in occasione della mia permanenza in Islanda.
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Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 (Cyanoschizophyta) (*)
Nota del socio Piero De Castro (**)
(Tornata del 25 aprile 1975)
Riassunto. — In questo lavoro vengono esposti i risultati dello studio eseguito sui microfossili di incerta posizione sistematica che, nella letteratura paleontologica, sono indicati con Aeolisaccus kotori Radoicic: si tratta di minu¬ scoli segmenti calcarei, cilindrici, caratterizzati da pareti relativamente robuste e vano interno piuttosto sottile. Questi fossili sono contenuti in rocce carbona- tiche di ambiente marino, di scarsa profondità, ed energia cinetica molto bassa. La loro distribuzione stratigrafica è compresa tra l’Aptiano superiore e il Paleocene: la massima diffusione si riscontra, però, nel Senoniano.
In base ad osservazioni compiute su numerosissimi preparati di età e località diverse, si è potuto dimostrare che i segmenti di Aeolisaccus kotori rappresentano frammenti di guaine calcificate di cianoficee. Lo stato frammen¬ tario degli individui nella roccia è dovuto al fatto che, dopo la morte del tallo, oppure dopo l'abbandono delle guaine da parte dei tricomi, venendo a mancare l’impalcatura organica di sostegno, la guaina si frammentava in corri¬ spondenza dei punti con spessore minore o, comunque, di più facile rottura; si venivano a formare, così, cilindretti calcarei, più o meno brevi, facilmente fossilizzabili a causa della mineralizzazione preesistente.
I talli da cui si originavano i segmenti di Aeolisaccus kotori soddisfacevano, verosimilmente, alla seguente descrizione: « Cianoficee rappresentate da indi¬ vidui filamentosi pluricellulari, bentonici, probabilmente sessili ed eretti, proba¬ bilmente gregari ma non coloniali oppure coloniali ma collegati da mucillaggine non mineralizzata. Filamenti caratterizzati da falsa ramificazione laterale sem¬ plice e, probabilmente, anche da vera ramificazione laterale semplice. Guaina robusta, calcificata, a stratificazione divergente. Tricomi uniseriati, non rastre¬ mati agli apici, uno per guaina. Eterocisti probabilmente presenti, intercalari e terminali ».
Facendo riferimento alla classificazione di Bourrelly (1970) questi caratteri permettono di riferire la specie in esame alla sottoclasse Hormogonophycideae. Tuttavia, la insicurezza sulla presenza di vere ramificazioni laterali non per¬ mette di formulare con certezza il riferimento di Aeolisaccus kotori ai taxa di ordine immediatamente inferiori. Se si ammette che nella specie fossero stati
(*) Lavoro eseguito con il contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
(**) Istituto di Paleontologia deH’Università, Largo S. Marcellino n. 10, 80138 - Napoli.
80 P. De Castro
presenti, realmente, ambedue i tipi, vero e falso, di ramificazione laterale sem¬ plice, in tal caso la mancanza di indizi di ramificazione a V e/o Y rovesciate e la mancanza di eterocisti peduncolati suggerirebbero il riferimento sistematico alla famiglia Borzinemataceae, famiglia in cui sono presenti, tra l’altro, anche generi con guaina robusta a stratificazione divergente (p. es. Handeliella).
Se si ammette, invece, che quelle ramificazioni riscontrate che apparente¬ mente sono riferibili a vere ramificazioni, costituiscono, in realtà, soltanto porzioni non calcificate di false ramificazioni, in tal caso il riferimento della specie in esame alle Scytonemataceae ed al genere Tolypothrix sarebbe immediato.
Per i dubbi e le possibilità espressi non si ritiene né vantaggioso, né oppor¬ tuno, spostare la specie A. kotori da un « genere » cui sicuramente non appar¬ tiene ad un altro cui potrebbe non appartenere; così, pure, non si ritiene oppor¬ tuno istituire un nuovo genere perché questo potrebbe rivelarsi, in breve tempo, sinonimo di un genere vivente già noto. Per il momento sembra preferibile indi¬ care, per quanto impropriamente, la specie in esame col nome assegnatole da Radoicic, finché ulteriori conoscenze non permetteranno di precisare le incer¬ tezze che oggi sussistono.
Abstract. — The results of thè study on microfossils of uncertain systematic position, which in paleontological literature are called Aeolisaccus kotori Ra¬ doicic, have been examined in this work. These are tiny, cylindrical calcareous segments characterized by relatively thick walls and a rather thin inner space. They are found in calcareous rocks, very low in kinetic energy and of shallow marine environment. The stratigraphic distribution ranges between thè Upper- most Aptian (or Lower Albian) and thè Paleocene ; thè maximum diffusion, howewer, is found in thè Senonian.
On thè basis of observations carried out on numerous thin sections of various ages and localities, we have been able to show that thè Aeolisaccus kotori segments represent calcified sheath fragments of blue-green algae. This fragmentary state of specimens in thè rock is due to thè fact that after thè thallus death, or after thè sheath abandonment by trichomes, when thè organic structure support had disappeared, thè sheath broke up in corrispondence to thè thinner points, or, anyway, thè more easily broken ones. In this way, small, more or less very short calcareous cylinders were formed, easily becoming fossilized because of thè pre-existant mineralization.
The thalli, from which thè Aeolisaccus kotori segments originated, probably fulfilled thè following description : « Cyanophyceae benthic, filamentous, pro¬ bably sessile and erect, gregarious or colonial. Filaments characterized by sim- ple lateral false-branching and, probably, also by simple lateral true-branching. Sheaths calcified, thick, with divergent stratification. Trichomes uniseriate, not tapering, one per sheath. Intercalary and terminal heterocysts are probably present ».
Refering to thè Bourrelly’s classification (1970) these characteristics permit to refer this species to thè subclass Hormogonophycideae. Howewer because of thè uncertainty concerning thè true lateral branching presence, Aeolisaccus kotori cannot be ascribed to thè taxa of immediately lower ranks. If we admit that both true and false simple lateral branches were really persent in thè species, thè lack of reversed V and/or Y-shaped branching and thè lack of
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 81
peduncled heterocysts would suggest thè possibility of a systematic reference to thè family Borzinemataceae, in which genera with thick sheaths with diver- gent stratification are also present (eg. Handeliella).
On thè other hand it may he that thè found branch-sheaths, similar in appearance to sheaths of true branches, only may be related to uncalcified por- tions of pseudobranch-sheaths inside thè parent sheath. In sudi a case thè species under study could immediately be referred to thè family Scytonemataceae and to thè genus Tolypothrix .
Because of thè above doubts and possibilities, it is thought to be disadvan- tageous to transfer thè species Aeolisaccus kotori from a « genus » toi which it certainly does not belong to another to which it might not belong; thus it is also disadvantageous to institute a new genus because after a brief period this could reveal itself to be synonimous to an already known existing genus. For thè moment, howewer incorrectly, it seems preferable to indicate thè species under study by thè name assigned to it by Radoicic, at least until further infor- mation permits to specify thè existing doubts.
1. Premessa e conclusioni.
In questo lavoro vengono esposti i risultati dello studio eseguito sui microfossili, di posizione sistematica imprecisata, che, nella letteratura paleontologica, sono indicati con Aeolisaccus kotori Radoicic: si tratta di minuscoli segmenti calcarei, cilindrici, caratterizzati da pareti relativa¬ mente robuste e vano interno piuttosto sottile. Questi fossili sono conte¬ nuti in rocce carbonatiche di ambiente marino di scarsa profondità ed energia cinetica molto bassa.
La loro distribuzione stratigrafica è compresa tra l'Aptiano superiore e il Paleocene; la massima diffusione si riscontra, però, nel Senoniano.
In base alle osservazioni compiute su numerosissimi preparati di età e località diverse, si è potuto dimostrare che i segmenti di Aeolisaccus kotori rappresentano frammenti di guaine calcificate di filamenti di cia- noficee. In particolare, la specie sarebbe caratterizzata da tricomi unise- riati con guaina a stratificazione divergente, dalla probabile presenza di eterocisti intercalari e terminali, da falsa ramificazione laterale semplice cui si associa, probabilmente, anche quella vera. Quest'ultima incertezza, purtroppo, obbliga a formulare un riferimento sistematico impreciso a rango di famiglia: quella delle Scytonemataceae nel caso che la ramifica¬ zione fosse stata soltanto di tipo falso; quella delle Borzinemataceae nel caso fossero stati presenti ambedue i tipi, vero e falso, di ramificazione laterale semplice.
Lo stato frammentario degli individui nella roccia è dovuto al fatto che, dopo la morte del tallo, oppure dopo l'abbandono della guaina da
6
82 P. De Castro
parte dei tricomi, venendo a mancare l’impalcatura organica di sostegno, la guaina si frammentava in corrispondenza dei punti con spessore mi¬ nore e, comunque, di più facile rottura; si venivano a formare, così, cilin¬ dretti calcarei, più o meno brevi, facilmente fossilizzabili a causa della mineralizzazione preesistente.
2. Precedenti conoscenze e distribuzione stratigrafica.
Radoicic, nel 1959, indicò con Aeolisaccus kotori dei microfossili rin¬ venuti in sezioni sottili di rocce che ritenne essere rappresentati da tubi¬ cini calcarei rastremati e chiusi ad una estremità, provvisti di pareti ro¬ buste e di una sottile cavità interna. I dati biometrici riscontrati da Radoicic sono i seguenti: la lunghezza è, generalmente, di 0.500 mm ma può elevarsi fino a 0.780 mm. Il diametro esterno è, per lo più, di 0.064 mm ma varia tra 0.032-0.080 mm; quello interno varia, a sua volta, tra 0.010- 0.024 mm.
Recentemente, Radoicic (1972) ha fornito ulteriori informazioni su questa specie precisando che le sue pareti sono costituite da articoli co¬ nici imbottigliati l’uno nell’altro.
Radoicic (1959, 1967, 1972) rinvenne questi fossili in rocce carbona- tiche del Cretacico superiore ascrivibili al Turoniano superiore (livelli posteriori alla comparsa di Hippurites resectus) e al Senoniano. Tuttavia, per quanto con frequenza molto minore, Aeolisaccus kotori è segnalato da altri autori sia in rocce più antiche, sia in rocce più recenti. In pro¬ posito, le osservazioni di chi scrive concordano con i dati forniti da Sartoni & Crescenti (1962), i quali avevano accertato per la specie in esame un intervallo stratigrafico esteso dall’Albiano al Paleocene. Questa distribuzione stratigrafica più ampia è confermata anche da altre segnalazioni tra cui ricordo quelle di Colalongo (1967) che riscontra Aeoli¬ saccus kotori anche ne i F AI bi ano, De Castro (1965) e Polsak (1963) che la citano nel Cenomaniano, Pavlovec (1963) che la riscontra nel Liburnico [Daniano, secondo Pavlovec; Maastrichtiano superiore, secondo Radoicic (1967)].
Gli esemplari osservati da chi scrive nei livelli più antichi (Aptiano superiore) (Tav. VI, Figg. 4-5) e in quelli più recenti (Paleocene) (Tav. VI, Fig. 3) presentano morfologia e valori biometrici del tutto simili a quelli riscontrati da Radoicic; ciò risulta dalla seguente tabella, dove le misure sono espresse in mm, L indica la lunghezza dei segmenti, d il diametro interno e D il diametro esterno.
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 83
preparato |
età |
sezione |
D |
d |
L |
A.1740.1 |
Albiano inf. |
assiale |
0,050 |
0,015 |
0,141 |
A. 1740.1 |
» |
trasversale |
0,060 |
0,017 |
— |
A.1791.1 |
Albiano |
» |
0,060 |
0,015 |
— |
A.1791.1 |
» » |
obliqua |
0,059 |
0,020 |
0,121 |
A.2871.X.1 |
Paleocene |
assiale |
0,050 |
0,017 |
0,310 |
Lo strato relativo al campione A. 1740 sovrasta stratigraficamente di qualche decina di metri i livelli in cui Salpingoporella dinarica Radoicic raggiunge la massima diffusione; esso è ascrivibile, perciò, all’Aptiano superiore o, al più, all'Albiano basale. Il campione A. 1971, invece, è stato raccolto qualche decina di metri al di sotto dei primi livelli a Sellialveoli- na viallii Colalongo ed è ascrivibile, quindi, probabilmente, all'Albiano superiore o, al più, al Cenomaniano inferiore.
Aeolisaccus kotori può essere frequente e, talora, molto abbondante (Tav. VI, Fig. 2) nella zona a Sellialveolina viallii, specie diffusa nel Ceno¬ maniano medio ma che può essere riscontrata già nel Cenomaniano inferiore (Devoto, 1964; Saint-Marc, 1974).
Gli esemplari del Paleocene (A. 2871 x) sono contenuti in calcari a miliolidi, peneroplidi e « rotaline » facenti parte della zona a Spirolina spp. di Sartoni & Crescenti (1962).
In conclusione sembra che Aeolisaccus kotori sia molto diffusa nel Senoniano (Coniaciano-Campaniano); essa scema progressivamente verso i piani più antichi e, molto più rapidamente, verso quelli più recenti essendo rappresentata sporadicamente tanto nell'Aptiano superiore quanto nel Paleocene.
3. Metodi di studio
Nella presente indagine su Aeolisaccus kotori si sono utilizzati cam¬ pioni di roccia di varia età e provenienti da numerose zone dell’ Appen¬ nino meridionale e, soprattutto, dell’Appennino campano. Nelle pagine che seguono, i campioni sono indicati da sigle in cui un numero è prece¬ duto da una lettera dell’alfabeto; se un secondo numero compare nella sigla del campione, esso sta ad indicare il numero d’ordine del preparato
84 P. De Castro
(sezione sottile) ricavato da quel campione. A causa della piccolezza dei fossili e della durezza della roccia, il loro studio si è svolto, infatti, col metodo delle sezioni sottili.
Per lo studio della variabilità del diametro esterno e di quello interno dei segmenti mi sono riferito ad un solo campione di roccia (A. 1049), particolarmente ricco di esemplari, raccolto nella porzione più alta, ascri¬ vibile al Senoniano, del Monte Tobenna, in provincia di Salerno (Tav. 185 II SE - S. Cipriano Picentino). A causa dell'abbondanza degli esemplari presenti nelle sezioni, è stato sufficiente esaminare un piccolo campo, opportunamente scelto, di una sola sezione sottile (A. 1049.10). Il campo investigato è stato un rettangolo di vento! to millimetri quadrati e gli esemplari in esso misurati sono stati trecentotrenta. A causa dell’alta densità degli esemplari, per non incorrere nell’errore di misurare più di una volta uno stesso segmento, si è preferito fotografare tutto il campo da esaminare su un certo numero di lastre 6x9 cm; successivamente, si sono misurati direttamente all'ingranditore (in negativo) i singoli indi¬ vidui. L’ingrandimento al quale si sono eseguite le misure è stato, così, di circa 487. Per la misura dei diametri si sono utilizzati, ovviamente, le sezioni trasversali e quelle oblique; in quest’ultime le misure sono state eseguite lungo l'asse minore di ognuna delle due ellissi limitanti sia verso l’interno, sia verso l’esterno le pareti dell’esemplare.
Per illustrare nel modo migliore l’indagine svolta sulla variabilità dei diametri, interno ed esterno, si è costruito (Fig. 1) un diagramma triplo il quale permette di osservare simultaneamente, in una stessa figura:
1) la variabilità del diametro interno (d) ( = diametro interno della guaina = diametro dei tricomi) dei segmenti in funzione del numero dei segmenti (frammenti di guaina);
2) la variabilità del diametro (D) esterno dei segmenti (diametro esterno della guaina) in funzione del diametro interno dei segmenti; cioè, la variabilità del diametro esterno nell’ambito di ogni gruppo di segmenti caratterizzato da un determinato valore del diametro interno;
3) la variabilità del rapporto D/d tra il diametro esterno e il dia¬ metro interno in funzione del diametro interno dei segmenti.
In questo diagramma, perciò, il parametro cui si è attribuito maggiore importanza è il diametro interno dei segmenti; ad esso, infatti, vengono riferiti gli altri due parametri esaminati. Si è ritenuto opportuno proce¬ dere in questo modo perché, nella specie in esame, il diametro interno dei segmenti corrisponde al diametro dei tricomi (vedi par. 7).
Fig. 1. — Variabilità del diametro (d) dei tricomi, del diametro (D) della guaina e del rapporto D/d in Aeolisaccus kotori Radoicic. Il diagramma per¬ mette di osservare simultaneamente:
1) (Nella porzione sinistra della figura) la variabilità del diametro (d) dei tricomi (diametro interno dei segmenti = diametro interno della
guaina) in funzione del numero dei segmenti (frammenti di guaina).
2) (Nella porzione mediana della figura) la variabilità del diametro esterno (D) della guaina in funzione del diametro dei tricomi.
3) (Nella porzione destra) la variabilità del rapporto D/d in funzione del diametro dei tricomi.
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e del rapporto D/d in Aeolisaccv iametro mette di osservare simultaneame 1) (Nella porzione sinistra della unzione dei tricomi (diametro interno d
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Fig. 2. — Variabilità dello spessore della p guaina). La figura permette di
1) Nella porzione sinistra, la va menti di guaina).
2) Nella porzione destra, la varia tricomi.
(Preparato A. 1049. 10; indagine si
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Fig. 2. — Variabilità dello spessore della parete della guaina in funzione del diametro dei tricomi (= diametro interno della guaina). La figura permette di osservare:
1) Nella porzione sinistra, la variabilità del diametro (d) dei tricomi in funzione del numero dei segmenti (fram¬ menti di guaina).
2) Nella porzione destra, la variabilità dello spessore della parete della guaina (D-d/2) in funzione del diametro dei tricomi.
(Preparato A. 1049.10; indagine su 330 segmenti).
5 10 15
Fig. 3. — Variabilità del diametro esterno della guaina in funzione del numero di segmenti (frammenti di guaina) in %. (Preparato A. 1049. 10; inda¬ gine su 330 segmenti).
8. 5 - 8.9
8.0 -8.4
7. 5 - 7.9
7. 0 ~7.4
6.5 - 6.9 6.0 - 6.4
5.5 - 5.9
5.0 - 5.4
4.5 -4.9
4.0 - 4.4
3.5 - 3.9 3.0 -3.4
2.5 - 2.9 2.0 -2.4
1.5 - 1.9
1.0-1. 4
0 5 10 15 20
Fig. 4. — Variazione del rapoprto D/d tra il diametro esterno e quello interno della guaina in funzione del numero dei segmenti (frammenti di guaina) in %. (Preparato A. 1049.10; indagine su 330 segmenti).
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 87
4. Analisi degli esemplari del campione A. 1049
Gli esemplari del campione A. 1049 sembrano aver subito un certo trasporto poiché, spesso, risultano più o meno orientati secondo la strati¬ ficazione. Conseguentemente, i dati riportati in questo paragrafo possono non corrispondere a quelli della popolazione originaria.
I segmenti di Aeolisaccus kotori presenti nel campione A. 1049 presen¬ tano, in genere, una guaina molto robusta e corrispondono, per la mas¬ sima parte, alle figure e alle descrizioni fornite dai vari autori.
II diametro interno (d) varia tra 0,004-0,033 mm; i valori più frequenti sono compresi, però, tra 0,010-0,016 mm. La variazione di questo para¬ metro in funzione del numero dei segmenti è espresso da una curva di Gauss abbastanza regolare che presenta il picco in corrispondenza dei diametri di 0,014-0,016 mm.
Il diametro esterno (D) varia tra 0,018-0,094 mm ed assume, più frequentemente il valore di 0,033-0,078 mm.
Il rapporto tra i due diametri (D/d), quello esterno e quello interno, varia tra 1,5-8, 5 e, più spesso, tra 2, 9-5 ,3.
Lo spessore della parete dei segmenti (D-d/2) varia tra 0,004-0,039 mm ma è compreso più frequentemente tra 0,014-0,025 mm.
La lunghezza dei segmenti è compresa, abitualmente, fra 0,300-0,700 mm; si possono riscontrare, però, esemplari sia più corti, sia più lunghi. Tra questi ultimi, alcuni si spingono fino a 1,100 mm (Tav. I, Figg. 1-2; Tav. II, Fig. 1).
In ogni gruppo di segmenti, caratterizzato da un valore del diametro interno compreso in limiti ristretti, ognuno degli altri parametri presenta una dispersione piuttosto sensibile; questa variabilità è tanto maggiore quanto maggiore è il numero degli individui che compongono il gruppo.
Dal diagramma di Fig. 1 risulta che mentre la differenza tra i valori estremi (quello maggiore e quello minore) del diametro interno è di soltanto 0,029 mm (0,033-0,004), la stessa differenza relativa al diametro esterno è di ben 0,071 mm (0,098-0,027). Questo fatto è dovuto alla varia¬ bilità meno ampia che il diametro dei tricomi (vedi in seguito) presenta rispetto al diametro della guaina, il quale è influenzato dall'intensità della secrezione mucillagginosa e dall'età della guaina stessa.
5. Considerazioni generali sulla forma di aeolisaccus kotori
Come si è detto all'inizio, i microfossili indicati con Aeolisaccus ko¬ tori sono rappresentati da minuscoli segmenti cilindrici dalle pareti rela-
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tivamente robuste e un vano assiale sottile. La sottigliezza del vano inter¬ no e l’andamento, spesso debolmente ondulato, dei segmenti (Tavv. I- IV, VI) fanno sì che le sezioni assiali e subassiali siano ancora più scarse di quanto ci si aspetterebbe statisticamente.
Il fatto che Radqicic (1959) supponesse che questi fossili fossero allungati longitudinalmente ma chiusi ad una estremità (contrariamente a quanto si afferma in questo lavoro) è da attribuire, probabilmente, alla poca frequenza con cui questa specie si presenta in sezione assiale o subassiale nei preparati.
La natura aigaie di Aeolisaccus kotori, dimostrata in questa sede (vedi paragrafi 6-10), fa ritenere che i segmenti fossili corrispondono a fram¬ menti di guaine calcificate di cianoficee filamentose. Presumibilmente, durante la vita, la lunghezza delle guaine era pari, o anche maggiore, di quelle più lunghe da noi riscontrate (1,100 mm). Le misure, generalmente più piccole, che si riscontrano nella maggior parte dei segmenti inglobati nella roccia dipendono dal fatto che esse non si riferiscono a guaine inte¬ re, ma ai frammenti di varia lunghezza in cui le guaine si frammentavano dopo la morte del tallo (Tav. VI, Fig. 1) o in seguito all’abbandono delle guaine da parte dei tricomi. La frammentazione si produceva prevalente¬ mente a causa di azioni cinetiche (anche se deboli) del mezzo ed era faci¬ litata dalla forma della guaina stessa; questa, infatti, possedeva una pic¬ cola sezione trasversale ed una lunghezza relativamente elevata.
Lo stato frammentario delle guaine non deve meravigliare; anzi, deve essere considerato un fenomeno inevitabile cui vanno incontro i talli fila¬ mentosi, dopo la morte, quando non formano colonie compatte intera¬ mente calcificate come quelle, p. es. della specie vivente Rivularia haema- tites. Per di più, è stato accertato nella natura attuale che la frammen¬ tazione delle guaine può verificarsi, indipendentemente da azioni cineti¬ che, all’interno dei sedimenti algo-laminati. In proposito, Monty (1967, p. 74, Fig. 6) ha riscontrato che, nei sedimenti algo-laminati sopralittorali a Scytonema myochrous e Schizothrix calcicela dell’isola Andros (Baha¬ mas), « negli strati più profondi del sedimento algo-laminato, filamenti calcificati di Scytonema, costituiti da calcite finemente granulare, diven¬ tano estremamente frammentari a causa del disfacimento dell’impalcatura organica. Il disfacimento produce minuti frammenti di tubi che formano numerosi grumi molto densi nella matrice calcarea piuttosto grossola¬ na delle lamine calcificate ». (In thè deeper layers of thè mats, calcifìed fìla- ments of Scytonema — composed of very fne-grained calcite — become extremely fragmented as a result of thè collapse of thè organic frame- work; this breakdown originates minute fragments of tubes forrning as
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicxc, 1959 89
many denser clots in thè somewkat coarser limy matrix of thè calcified layers).
6. Struttura della guaina
Nella maggior parte dei casi osservati, i segmenti di Aeolisaccus kotori , inglobati nella roccia, presentano pareti di spessore uniforme e prive di qualsiasia struttura (Tav. I, Figg. 1-7, 11-13; Tav. IV, Figg. 2-3). Tuttavia, negli stessi preparati, si riscontrano anche esemplari che mo¬ strano una dilatazione periodica e più o meno lieve dello spessore delle pareti (Tav. I, Figg. 8-10); questo fenomeno è presente anche in esem¬ plari che, per un certo tratto, presentano pareti lisce e uniformi (Tav. II, Fig. 1; Tav. IV, Fig. 1). La presenza delle due morfologie nell'ambito di uno stesso segmento prova, a prescindere da altre considerazioni, che gli esemplari con guaina uniforme e quelli con guaina più differenziata ap¬ partengono (o possono appartenere) alla medesima specie.
Nei campioni più ricchi di esemplari e dove le condizioni di fossiliz¬ zazione sono migliori, si osservano, accanto ai tipi morfologici ora detti, altri individui in cui la morfologia delle pareti raggiunge la massima com¬ plicazione in seguito alla esasperazione del motivo morfologico più dif¬ ferenziato, già descritto (Tav. II; Tav. Ili; Tav. IV, Figg. 1, 4, 5, 8-10). Cioè, le pareti del segmento sono continue ed omogenee, per tutta la lunghezza del segmento, in prossimità del vano interno; invece, via via che ci si allontana dal vano interno, le pareti diventano discontinue ed assumono, in sezione assiale, un aspetto più o meno regolarmente pennato. Questo modo di presentarsi dei fossili in sezione si spiega ammettendo che essi siano costituiti dalla successione di articoli imbutiformi; questa inter¬ pretazione concorda con quella formulata recentemente da Radoicic (1972). Ogni articolo è formato da una porzione superiore più o meno svasata ed una porzione inferiore approssimativamente cilindrica. Neh l’ambito di ogni successione, le porzioni superiori degli articoli rimangono distinte e separate l’una dall’altra, mentre la saldatura dei singoli articoli avviene in corrispondenza delle loro porzioni cilindriche. Le osservazioni sui fossili non permettono di stabilire il modo in cui avveniva la sovrap¬ posizione degli articoli; queste modalità possono venire ipotizzate (e ciò sarà fatto in seguito) solo dopo che si è tentato un riferimento sistema¬ tico dei fossili in esame.
La interpretazione dei caratteri morfologici dei segmenti più diffe¬ renziati è confermata anche dall'aspetto che assumono gli esemplari in
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90 P. De Castro
sezione trasversale (Tav. IV, Figg. 4, 840), obliqua (Tav. II, Figg. 7, 9; Tav. Ili, Fig. 1; Tav. IV, Fig. 5) e tangenziale (porzione mediana della Fig. 1 di Tav. IV; porzione superiore della Fig. 6 di Tav. II).
Nella natura attuale, le morfologie descritte, caratterizzate dalla suc¬ cessione di articoli imbutiformi, potrebbero essere comparabili con quelle dei tubi di alcuni anellidi policheti ( Mercierella aenigmatica ); tuttavia i tubi dei policheti non presentano ramificazione contrariamente a quanto si osserva, invece, in Aeolisaccus kotori. Queste morfologie trovano ri¬ scontro, invece, nella guaina di molte cianoficee filamentose, soprattutto dell’ambiente continentale; conseguentemente, Aeolisaccus kotori potreb¬ be essere riferito a questa divisione delle tallofite. Gli altri caratteri ri¬ scontrati nella specie in esame (vedi paragrafi 7-10) confermano e avva¬ lorano questa tesi.
La mucillagine che circondava, in vivo, i tricomi di Aeolisaccus kotori si veniva a formare secondo le modalità suggerite da Bharadwaja (1933, 1934), che Fritsch (1945, p. 793) così riassume: « Tutte le volte che, dopo un periodo di stasi, un filamento ricomincia ad accrescersi, l’apice, in via di allungamento, del tricoma rompe l’estremità, chiusa, della guaina e, prima o durante la sua emergenza da essa, secerne una nuova lamella ialina [di mucillagine]; questa si prolunga anche, verso l’indietro, all’in¬ terno della guaina preesistente, estendendovi per un breve tratto e, ta¬ lora, fino ad una eterocisti. Le lamelle formatesi in seguito a spostamenti successivi del tricoma divergono da esso ... Durante i periodi di crescita veloce del filamento ( dipendenti da una rapida divisione cellulare ) le la¬ melle successive sono di notevole lunghezza e simulano un andamento parallelo [all’asse del filamento]; quando, invece t l’accrescimento del fila¬ mento è lento, le lamelle sono brevi e marcatamente divergenti. In que¬ st’ultimo caso, i bordi rotti delle lamelle più vecchie si proiettano al di là della superficie generale della guaina per cui questa si presenta sfrangiata . Per quanto occasionalmente, almeno nelle scitonematacee, le guaine di uno stesso filamento possono mostrare ambedue i tipi di stratificazione [delle lamelle], parallela e divergente; questo carattere è da attribuire, senza dubbio, alla velocità di accrescimento. Guaine distintamente diver¬ genti sono limitate alle forme terrestri ; le specie acquatiche, invece, presentano, generalmente, anche se solo in apparenza, guaine non strati¬ ficate ». (...whenever a fìlament resumes growth after a period of resi, thè elongating apex of thè trichome... ruptures thè closed end of thè sheath and before or during its emergence, secretes a new hyaline lamella which extends back for a limited distance within thè old sheath, sometimes up to a heterocyst . The lamellae, formed by successive increments, diverge
Osservazioni su Aeoiisaccus kotori Radoicic, 1959 91
from thè trichome... When cell-division is rapici during periods of active growth, thè successive lamellae are of appreciable lenght and appear parallel, while , when growth is slow, they constitute short strata which are markedly divergent. In thè latter istance thè ruptured edges of thè older strata sometimes project beyond thè generai surf ace, giving a frayed margin . In Scytonemataceae at least, both parallel and divergent stratifi- cation may occasionally occur in thè same plant, and this feature is no doubt related to thè rate of thè growth . Distinct divergent sheaths are confìned to terrestrial forms, while aquatic species usually have unstratì- fied sheaths, although that may be only apparent).
Come si è detto, nella maggior parte dei segmenti fossili di Aeoiisac¬ cus kotori, la guaina non mostra alcuna stratificazione. Vi sono, però, numerosi casi in cui le lamelle calcificate originarie si proiettano per un tratto, spesso molto breve, talora notevolissimo, oltre lo spessore gene¬ rale, omogeneo, della guaina denunciando, con la loro inclinazione, una stratificazione divergente. In ogni caso, però, le tracce della stratificazione delle lamelle non si rinvengono all’interno della porzione omogenea, di spessore uniforme, dei segmenti.
Dopo quanto si è detto, si può affermare che la mineralizzazione della guaina ha obliterato, almeno nei fossili, ogni traccia di stratificazione. Conseguentemente, il fatto che la maggior parte dei segmenti non presenti stratificazione non sta ad indicare, necessariamente, che, in vivo, la loro guaina non fosse stratificata. Anzi, la frequenza con cui si riscontrano segmenti con testimonianze palesi di stratificazione divergente permette di prospettare ragionevolmente che Aeoiisaccus kotori fosse caratterizza¬ to da guaine di questo tipo. In proposito, non è improbabile che, in vivo, gli esemplari con lamelle imbutiformi proiettantisi oltre lo spessore uni¬ forme della guaina fossero stati molto più numerosi di quelli riscontrati. Tuttavia, con la morte del tallo o dopo l’abbandono della guaina da parte dei tricomi, le guaine stesse non solo si frammentavano in senso trasver¬ sale, ma anche, rotolando sul substrato, smussavano le loro asperità (fra cui i bordi distali liberi delle lamelle) assumendo un aspetto più regolar¬ mente cilindrico. Queste ultime considerazioni potrebbero essere avvalo¬ rate, almeno in parte, da alcuni esemplari con lamelle individualizzate (Tav. Ili, Figg. 2-4), che si presentano decorticati per un certo tratto del loro sviluppo longitudinale. La « decorticazione » è presente, in alcuni casi, su ambedue le bande della sezione longitudinale e, perciò, probabilmente, si estendeva tutt'attorno al segmento; in altri casi, essa interessa soltanto una banda della sezione longitudinale. In ambedue i casi, la porzione re¬ sidua della guaina decorticata non mostra traccia di stratificazione.
92 P. De Castro
La struttura a stratificazione divergente della guaina di Aeolisaccus kotori non costituisce, considerata a se stante, un carattere diagnostico sufficiente per formulare un riferimento sistematico di rango generico. Tuttavia, essa può rappresentare un indizio per indirizzare la diagnosi preferenzialmente verso la famiglia Scylonemataceae dove guaine di que¬ sto tipo sono comuni tra le specie dei generi Scytonema Agardh e Petalo- nema Berkeley.
7. Caratteri dei tricomi
Nella massima parte dei casi, le guaine di Aeolisaccus kotori non mostrano alcuna traccia dei tricomi che ospitavano in vivo. Ciò è da mettere in relazione alla difficoltà della fossilizzazione delle minute pareti cellulari e, forse, anche al fatto che la maggior parte dei segmenti di questa specie erano vuoti anche durante la vita dei filamenti se i tricomi ne occupavano soltanto la porzione superiore.
In alcuni casi, tuttavia, il vano interno dei fossili è attraversato sal¬ tuariamente da « setti » diritti o arcuati, perpendicolari o obliqui rispetto alle pareti laterali. Un esame più accurato di questi esemplari ha dimo¬ strato che il fenomeno è da attribuire, spesso, ai piani di sfaldatura della calcite di riempimento dei segmenti, oppure alle superfici di contatto dei granuli del mosaico calcitico di riempimento.
Un certo numero dei « setti » corrisponde, però, sicuramente, alle pa¬ reti trasversali delle cellule (Tav. I, Fig. 2; Tav. Ili, Fig. 1, esemplare in alto e a sinistra; Tav. IV, Fig. 3) e non lasciano dubbi sul fatto che Aeolisaccus kotori fosse caratterizzata, in vivo, da tricomi pluricellulari e uniseriati.
Il numero molto scarso di osservazioni non permette di fornire dati attendibili sulla morfometria cellulare; sembra che le cellule dei tricomi fossero state più lunghe che larghe, rettangolari in sezione assiale, e debolmente depresse in corrispondenza dei setti. Gli esemplari già citati, illustrati alle Tavole I, III, IV, non permettono di eseguire misure sicure; tuttavia le loro cellule sembrano presentare una lunghezza di circa 0,030 (Tav. Ili, Fig. 1) e 0,035 mm (Tav. IV, Fig. 3).
AlTinterno dei segmenti di guaina fossilizzati, la presenza di etero- cisti non è documentabile con certezza. Vi sono, però, degli indizi che ne lasciano supporre, anche se in via dubitativa, resistenza. NelTesemplare in sezione longitudinale della Figura 3 di Tav. IV si osserva, verso il centro, un corpo più chiaro, di forma rotonda, addossato ad un setto ben marcato; non è improbabile che si tratti di una eterocisti intercalare.
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 93
Nell’esemplare della Fig. 1 di Tav. VI, la guaina sembra essere chiusa all’estremità superiore per cause indipendenti dall’obliquità del taglio del preparato. In corrispondenza di questa estremità sembra alloggiare un corpo rotondo, lievemente protuberante, che potrebbe rappresentare una eterocisti terminale.
Se i corpi riferiti dubitativamente ad eterocisti sono veramente tali si potrebbe precisare che i fossili in esame erano caratterizzati, in vivo , da tricomi pluricellulari, uniseriati, non attenuati all'apice, e provvisti di eterocisti sia terminali, sia intercalari.
8. Ramificazione
Il tipo, vero o falso, di ramificazione rappresenta uno dei caratteri fondamentali della classificazione delle cianoficee filamentose. Infatti, è di notevole importanza sistematica accertare se una specie ammette, o non, ramificazione vera; la falsa ramificazione può risultare associata alla precedente o può essere Funico tipo di ramificazione presente.
Purtroppo, nei fossili, i tricomi, generalmente, non si conservano e il riconoscimento del tipo di ramificazione si basa soltanto sulle deduzioni incerte che permettono le guaine calcificate.
1) Non vi sono argomenti sicuri per poter differenziare la vera rami¬ ficazione laterale dalla ramificazione a V o Y rovesciate, in quanto, in tutti i casi, il vano della guaina del ramo e quello del filamento princi¬ pale non presenta soluzioni di continuità. Eventualmente, un indizio di ramificazione a V o Y rovesciate potrebbe risiedere nell’ampiezza note¬ vole del « piede » della ramificazione.
2) Nei fossili, le false ramificazioni, semplice e geminata, possono differenziarsi, almeno teoricamente, dalle ramificazioni vere e dalle rami¬ ficazioni a V e Y rovesciate in quanto, in corrispondenza del « piede » della ramificazione, il vano della guaina del filamento genitore è attra¬ versato dalla guaina del ramo. Anche in questo caso, però, il paleontologo non è in grado di precisare se una falsa ramificazione laterale semplice è tolipotricoide o mastigocladoide poiché, di norma, non si conservano le cellule dei tricomi.
Gli esemplari esaminati mostrano la ramificazione soltanto occasio¬ nalmente. Ciò può essere dovuto ad una reale, originaria, scarsezza di ramificazioni e anche (più probabilmente) alla frammentazione con cui
94 P. De Castro
le guaine si rinvengono nella roccia e, ancora, al fatto che i punti di più. facile rottura sono, sicuramente, quelli di ramificazione.
Se ci si potesse basare, sic et simpliciter, sulle considerazioni esposte ai punti 1) e 2), si potrebbe affermare (in base a quanto si è accertato fin 'ora) che Aeolisaccus kotori era caratterizzato da ramificazione late¬ rale semplice; questa, in particolare, poteva essere sia una vera ramifi¬ cazione, sia una falsa ramificazione.
La falsa ramificazione è messa in evidenza dalle Figg. 7-10 di Tavola V, dove gli esemplari illustrati mostrano la porzione relitta del filamento genitore completamente separata dal ramo neoformato.
La vera ramificazione è messa in evidenza dalle Figg. 3-6 di Tavola V, dove gli esemplari figurati non mostrano alcuna soluzione di continuità tra il vano della guaina del ramo e il vano della guaina del filamento genitore.
Al processo di ramificazione laterale semplice (vera o falsa) è da attribuire, probabilmente, il fenomeno che si osserva all'interno della guaina degli esemplari 1-2 della stessa Tavola V. In questi esemplari il vano della guaina si dilata localmente a spese dello spessore della guaina stessa: ciò potrebbe rappresentare lo stadio iniziale del processo di ra¬ mificazione, quando il ramo in via di formazione sta per perforare la guaina del genitore.
Le considerazioni esposte al punto 2) e le deduzioni sulla ramifica¬ zione formulate in base ad esso sarebbero attendibili se, nelle forme calci¬ ficate, anche le guaine delle porzioni dei rami, situate all’interno del fila¬ mento genitore, calcificassero nella stessa misura e negli stessi tempi relativi alle guaine a contatto con l'ambiente.
Gli studiosi di cianoficee attuali non mi sembra che abbiano affrontato questo problema.
Siccome il carbonato delle guaine calcificate non è una secrezione del tallo, la guaina del filamento genitore potrebbe costituire uno schermo alla calcificazione delle porzioni di rami disposte al suo interno. Conse¬ guentemente, queste porzioni di rami potrebbero non mineralizzare, op¬ pure, pur potendolo (Tav. V, Figg. 7-10), potrebbero calcificare con un certo ritardo rispetto alle porzioni di rami all’esterno del genitore. Conse¬ guentemente, allo stato fossile, le ramificazioni laterali che sembrano essere apparentemente delle vere ramificazioni in base alla considerazione al punto 2, invece, potrebbero rappresentare, in realtà, porzioni non cal¬ cificate di una falsa ramificazione laterale.
Dopo quanto si è detto, sembra opportuno concludere prudenzial¬ mente che Aeolisaccus kotori fosse stato caratterizzato da ramificazione la-
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 95
terale semplice. La falsa ramificazione era presente sicuramente; tuttavia, per ora, non vi sono argomenti sufficienti per affermare, con altrettanta sicurezza, che fosse presente anche la ramificazione laterale vera.
9. Ambiente, associazione e modo di vita
I caratteri litologici delle roccie che contengono Aeolisaccus kotori e i fossili associati permettono di affermare che l’ambiente in cui visse que¬ sta specie era marino e di bassa profondità; inoltre l'abbondanza della micrite presente nelle roccie fa supporre che la specie in esame predili¬ gesse le zone con energia cinetica molto bassa. I fossili che si accompa¬ gnano ad Aeolisaccus kotori sono rappresentati soprattutto da foramini- feri, alghe, molluschi e, talora, da ostracodi. I foraminiferi sono costituiti esclusivamente (o quasi) da forme bentoniche a guscio agglutinante e a guscio porcellanaceo; le forme a guscio calcareo perforato, spesso pre¬ senti, spettano, solo occasionalmente, a foraminiferi planctonici.
Le alghe sono rappresentate, generalmente, da Thaumato por ella par- vovesiculifera (Raineri), specie strettamente imparentata ai Volvox viven¬ ti per via della caratteristica riproduzione vegetativa. In alcuni livelli del Senoniano l'associazione si arricchisce anche della presenza di Sgrossoella parthenopeia De Castro, riferibile, pure essa, probabilmente, ad alghe verdi. Le dasicladacee sono assenti o molto rare.
I lamellibranchi sono rappresentati per la massima parte da rudiste (ippuriti e radioliti).
Modo di vita. Il modo di vita, solitario o coloniale, di Aeolisaccus kotori è piuttosto difficile da stabilire a causa, soprattutto, dello stato frammentario con cui le guaine di questa specie si rinvengono nelle rocce. Conseguentemente le ipotesi che si possono formulare, rappre¬ sentano semplici congetture più o meno verosimili.
Nella letteratura paleontologica, esistono numerose segnalazioni di cianoficee filamentose che mantengono, allo stato fossile, l’aggregazione in colonie che le caratterizzavano in vivo. Mi riferisco, p. es. ai talli nodu- lari, costituiti da tubicini radiali, di alcune Mitcheldeaniaceae (alghe verdi secondo alcuni autori), i quali sia per la struttura, sia per la morfologia complessiva, sono simili ad alcune Rivularia attuali (p. es. R. haematites). In questi casi, la conservazione della morfologia della co¬ lonia è assicurata dalla mineralizzazione della mucillaggine interposta tra i singoli filamenti della colonia.
96 P. De Castro
Nel caso di Aeolisaccus kotori, la frammentarietà delle guaine induce a formulare le seguenti ipotesi: a) i filamenti calcificati erano riuniti in colonie da mucillaggine non impregnata di carbonati, b ) i filamenti costi¬ tuivano entità endividuali interessate da gregarismo più o meno spiccato. In ambedue i casi, con la morte dei talli, le guaine potevano frammen¬ tarsi facilmente e i loro segmenti si sparpagliavano sul fondo. Probabil¬ mente, la formazione di feltri algali o di sedimenti algo laminati, tanto diffusa tra le cianoficee fossili (p. es. stromatoliti) e viventi, fu inibita da condizioni ambientali sfavorevoli. Questa ipotesi potrebbe essere av¬ valorata dal tipo di stratificazione, divergente, della guaina (vedi Bha- radwaja, 1934, p. 255, 257) e, ancora di più, dalla esasperazione di questa stessa struttura nei segmenti costituiti dalla sovrapposizione di lamelle imbutiformi separate tra di loro.
L’ipotesi di condizioni ambientali relativamente sfavorevoli alla vita di Aeolisaccus kotori troverebbe conferma e, al tempo stesso, si inqua¬ drerebbe in un fenomeno analogo, ma di portata più generale, che deter¬ minò la migrazione in massa delle cianoficee dall’ambiente marino a quello continentale; questa migrazione (vedi Monty, 1972) sarebbe testi¬ moniata dalla scarsezza del phylum nel Cretacico superiore e nel Ceno- zoico marini e, d'altra parte, dalla sua diffusione nei sedimenti continen¬ tali del Terziario (vedi p. es. Colom, 1966; Reis, 1923).
La esistenza di condizioni ambientali relativamente sfavorevoli alla vita delle tallofite, al fondo dei mari epicontinentali del Mesozoico supe¬ riore, fu, certamente un fatto molto più accentuato di quanto si potrebbe desumere soltanto in base al comportamento delle cianoficee. Infatti, anche le dasicladacee subirono un netto regresso nel Cretacico superiore e, soprattutto, in corrispondenza dei suoi piani più alti, quando le loro segnalazioni sono del tutto occasionali.
10. Considerazioni tassonomiche
Il genere Aeolisaccus fu istituito da Elliott nel 1958 per indicare piccoli corpi problematici cavi, dalle pareti sottili, allungati, aperti ad ambedue le estremità e limitati da una superficie conica allungata oppure subcilindrica ma maggiormente rastremata ad una estremità. Aeolisac¬ cus dunningtonì Elliott, specie tipo del genere, è stata segnalata dal Permiano superiore fino al Giurassico medio, sia nel Medio Oriente, sia nei paesi del Bacino del Mediterraneo.
Osservazioni su Aeolisaccus kotori Radoicic, 1959 97
Il genere per quanto sia da considerare, in realtà, un parataxon a causa della diagnosi biologicamente polivalente, tuttavia non può inclu¬ dere la specie Aeolisaccus kotori. Questa, infatti, anche se ci si limita a considerare i frammenti di guaina e non i caratteri dei filamenti da cui i primi si originano, raggruppa segmenti calcarei cilindrici diritti o lie¬ vemente arcuati; invece, il genere Aeolisaccus si riferisce a microfossili rastremati verso una delle estremità. Inoltre, i singoli esemplari di Aeolisaccus dunningtoni sembrano corrispondere, ognuno, ad un deter¬ minato organismo; infine, Aeolisaccus dunningtoni non è confrontabile con cianoficee o altre alghe filamentose, intere o in frammenti.
Da quanto si è detto nei paragrafi precedenti, i talli da cui si origi¬ navano i segmenti di Aeolisaccus kotori soddisfacevano verosimilmente alla seguente descrizione la quale, però, presenta gravi incertezze per cui è preferibile non assumerla come la descrizione di un genere.
« Cianoficee rappresentate da individui filamentosi pluricellulari, ben- tonici, probabilmente sessili ed eretti, gregari o coloniali. Filamenti carat¬ terizzati da falsa ramificazione laterale semplice cui si associa, forse, anche la vera ramificazione laterale semplice. Guaina robusta, calcificata, a stratificazione divergente. Tricomi uniseriati, non rastremati all'apice, uno per guaina. Eterocisti probabilmente presenti, intercalari e termi¬ nali ».
Facendo riferimento alla classificazione adottata da Bourrelly (1970), questi caratteri permettono di riferire con sicurezza la specie in esame alla sottoclasse Hormogonophycideae ( Hormogonales in Geitler, 1942); la presenza di tricomi uniseriati, di false ramificazioni e la probabile presenza di eterocisti costituiscono, infatti, elementi sicuri per scartare la possibilità di appartenenza alla sottoclasse Coccogonophycideae che include le cianoficee che si riproducono per schizogonia o per spore e tutte quelle con talli più semplici.
La insicurezza sulla presenza di vere ramificazioni laterali non per¬ mette di formulare con certezza il riferimento della specie in esame ai taxa di ordine immediatamente inferiori. Se si ammette che in questa specie fossero stati presenti, realmente, ambedue i tipi, vero e falso, di ramificazione laterale semplice, allora la mancanza di indizi di ramificazione a V e Y rovesciate e la mancanza di eterocisti peduncolati (vedi Bourrel¬ ly, 1970, p. 352) suggerirebbero di attribuire Aeolisaccus kotori alle Bor- zinemataceae, famiglia in cui sono presenti, tra l’altro, anche generi con guaine robuste a stratificazione divergente (p. es. Handeliella).
Se si ammette, invece, che quelle ramificazioni riscontrate, che appa¬ rentemente sono riferibili a vere ramificazioni, costituiscono, in realtà,
98 P. De Castro
porzioni non ancora calcificate di false ramificazioni, allora il riferimento della specie in esame alle Scytonemataceae ed al genere Tolypothrix, sprovvisto di ramificazione geminata, sarebbe immediato.
Per quanto si è detto in precedenza, cioè per i dubbi e le possibilità espressi, non ritengo che sia vantaggioso o opportuno spostare la specie kotori da un « genere » cui sicuramente non appartiene ad un altro cui potrebbe non appartenere; così, pure, non mi sembra opportuno istituire un nuovo genere che potrebbe rivelarsi, in breve tempo, sinonimo di un genere vivente già noto.
Per il momento, mi sembra preferibile indicare, per quanto impro¬ priamente, la specie in esame col nome assegnatole da Radoicic, finché ulteriori conoscenze non permetteranno di precisare le incertezze che oggi sussistono.
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TAVOLA I
Aeolisaccus kotori Radoicic
Figg. 1-2. — Sezioni longitudinali di guaine calcificate che non hanno subito le ri¬ petute frammentazioni che interessano, di norma, i filamenti dopo il di- sfacimento dell’impalcatura organica o l’allontanamento dei tricomi. In questi esemplari di dimensioni occasionali, la struttura a stratificazione divergente della guaina non è evidente.
Nella porzione mediana-inferiore dei due esemplari sono presenti setti trasversali, diritti o arcuati, i quali, almeno in parte, rappresentano pareti cellulari.
In fig. 1, la sezione decorre assialmente nella porzione inferiore del¬ l’esemplare, mentre, in quella superiore decorre nello spessore della guaina e adiacente al vano interno.
In fig. 2, la sezione decorre assialmente nella porzione inferiore del¬ l'esemplare, mentre, in quella superiore, è lievemente obliqua ed emerge dalla guaina. La differente inclinazione con cui una medesima sezione può interessare la guaina è dovuta alle ondulazioni che interessano i filamenti.
Fig. 3. — Lungo frammento di guaina in sezione prevalentemente assiale o subas¬ siale. Nella porzione inferiore dell’esemplare si distinguono setti trasversali corrispondenti, almeno in parte, a pareti cellulari.
Figg. 4, 6-10. — Frammenti di guaina, di dimensioni comuni, in sezione longitudi¬ nale assiale o subassiale. Negli esemplari di figg. 8-10, la struttura a lamelle divergenti si manifesta soltanto in corrispondenza dei bordi delle lamelle che si proiettano oltre lo spessore omogeneo delle pareti.
Figg. 5, 11-13. — Sezioni trasversali (fig. 11) e più o meno oblique (figg. 5, 12-13) di guaine.
Fig. 1 |
Preparato A.1049.5 |
Fig. |
8 |
Preparato A. 1041. 12 |
||
» 2 |
» |
A. 1049.8 |
» |
9 |
» |
A. 1041. 11 |
» 3 |
» |
A. 1041.6 |
» |
10 |
» |
A. 1041.4 |
» 4 |
» |
A. 1049.12 |
» |
11 |
» |
A. 1049.8 |
» 5 |
» |
A. 1041.8 |
» |
12 |
» |
A.1041.11 |
» 6 |
» |
A. 1041. 11 |
» |
13 |
» |
A. 1049. 12 |
» 7 |
» |
9.1041.10 |
Per tutte le figure:
Età. Senoniano inferiore o medio (Zona ad Accordiella conica e Monchar- montia apenninica).
Località. Versante meridionale di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in provincia di Salerno (tav.: 185 II SE - S. Cipriano Picentino); A. 1041 in corri¬ spondenza della quota di 825 m; A. 1049 alla cima del rilievo (q. 837).
Ingrandimento : circa 172 x.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975 De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus
kotori , ecc. Tav. I
TAVOLA II
Aeolisaccus kotorì Radoxcic
Frammenti di guaina di varia lunghezza e in sezioni di vario tipo, le quali permettono di dedurre la struttura a stratificazione divergente della guaina. Questa struttura è messa in evidenza dai bordi superiori delle lamelle quando sono separati l’uno dall’altro e si proiettano- oltre la superficie più interna, omo¬ genea e continua, della guaina.
Fxg. 1. — Esemplare di notevole lunghezza in sezione longitudinale lievemente obliqua. Questo esemplare e quelli di figg. 1-2 di tav. I rappresentano casi particolarmente fortunati perché non hanno subito le ripetute frammenta¬ zioni che interessano, generalmente, le guaine della specie in esame.
Figg. 2, 4-5, 7-9. — Sezioni con vario grado di obliquità rispetto all'asse del tallo. In fig. 4, i setti diritti o debolmente irregolari che attraversano più o meno trasversalmente la cavità della guaina sono dovuti, almeno per la maggior parte, alle tracce di sfaldatura della calcite di riempimento dei tubi o alle superile i di contatto dei granuli del mosaico calcitico di riempimento.
Fig. 3. — Frammento di guaina in sezione assiale o subassiale.
Fig. 6. — Frammento piuttosto lungo di guaina in sezione longitudinale. A causa dell’ondulazione della guaina, la sezione decorre assialmente, o subassial¬ mente, nella porzione inferiore dell’esemplare ; invece, nella porzione supe¬ riore, decorre nello spessore delle pareti e prossima alla cavità interna della guaina.
Fig. 1 Preparato A. 1019.12
» 2 » A. 1041. 6
» 3 » A. 1041.8
» 4 » A. 1049.15
Fig. 6 Preparato A. 1019. 11
» 7 » A. 1041.6
» 8 » A. 1041. 6
» 9 » A. 1041.6
Per tutti i preparati:
Età. Senoniano inferiore o medio (Zona ad Accordìella conica e Monchar- montia apenninìca).
Località . Versante meridionale di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in provìncia di Salerno- (tav.: 185 II SE - S. Cipriano Picentino); A. 1019 alla quota di circa 780 m, A. 1041 alla quota di circa 825 m., A. 1049 alla cima del rilievo (q. 837 m).
Ingrandimento . Circa 172 x.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus kotori, eco. Tav. II
TAVOLA III
Aeolisaccus kotori Radoicic
Frammenti di guaina di varia lunghezza e in sezioni di vario tipo, le quali permettono di dedurre la struttura a stratificazione divergente della guaina. Questa struttura è messa in evidenza dai bordi superiori delle lamelle quando sono separati l'uno dall'altro e si proiettano oltre la superficie più interna, omo¬ genea e continua, della guaina.
Fig. 1. — Sezioni subtrasversali, oblique e subassiali. Nell'angolo superiore si¬ nistro della figura è presente un esemplare in sezione subassiale che mostra il vano interno attraversato da deboli setti trasversali che corrispondono, verosimilmente, a pareti cellulari. Negli altri esemplari, in sezione subtra- sversale ed obliqua, le lamelle che si proiettano oltre lo spessore omogeneo della guaina sono tagliate secondo archi di cerchio o di ellissi, (vedi pure tav. IV, figg. 4-5, 8-10).
Figg. 2-4. — Esemplari in sezione longitudinale parzialmente decorticati. Il tratto decorticato può essere più o meno ampio sia in senso longitudinale che in senso trasversale; può estendersi più o meno uniformemente tutt'attorno all'asse del tallo (fig. 4) oppure interessarne un solo lato (figg. 2-3).
Figg. 5, 7. — Esemplari in sezione obliqua.
Fig. 6. — Esemplare arcuato e debolmente ondulato in sezione longitudinale obliqua.
Fig. 8. — Esemplare ondulato. La sezione decorre obliquamente nella porzione superiore; decorre nello spessore della guaina in quella superiore. Nella porzione superiore della figura è presente un esemplare in sezione trasver¬ sale in cui il rapporto tra il diametro esterno e quello interno è notevol¬ mente alto.
Fig. 1 |
Preparato A. 1049.5 |
Fig. 5 Preparato A. 1049. 14 |
||
» 2 |
» |
A. 1049. 15 |
» 6 » |
A. 1049 .6 |
» 3 |
» |
A. 1049.3 |
» 7 |
A. 1049.8 |
» 4 |
» |
A. 1049.3 |
» 8 » |
A. 1049.8 |
Per tutte le |
FIGURE : |
Età. Senoniano inferiore-medio (Zona ad Accordiella conica e Moncharmontia apenninica).
Località. Versante meridionale di Monte Tobenna, presso S. Mango Pie¬ monte in provincia di Salerno tav. 185 II SE - S. Cipriano Picentino); A. 1049 alla cima del rilievo (q. 837 m).
Ingrandimento. Circa 172 x.
3ll Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus kotori , eco . Tav„ III
TAVOLA IV
Aeolisaccus kotori Radoicic
Fig. 1. — Esemplare lievemente ondulato di notevole lunghezza. La sezione de¬ corre nello spessore delle pareti sia nella porzione inferiore, sia in quella mediana della figura; in quest’ultimo tratto le lamelle divergenti, isolate tra di loro, sono bene evidenti.
Fig. 2. — Esemplari in sezione trasversale e longitudinale-obliqua. Gli esemplari con guaine più sottili rappresentano probabilmente giovani filamenti op¬ pure le porzioni di un filamento formatesi per ultime. Nell'esemplare in sezione longitudinale obliqua (al centro della figura) si osserva, verso il centro, un corpo più chiaro, tondeggiante, addossato ad un setto ben mar¬ cato, attribuibile, probabilmente, ad una eterocisti.
Fig. 3. — Esemplare in sezione longitudinale-obliqua attraversato da 1-2 setti corrispondenti a pareti cellulari.
Figg. 4-5, 8-10. — Sezioni trasversali e subtrasversali di guaine con lamelle di¬ vergenti che si proiettano oltre lo spessore omogeneo delle pareti. Il piano del preparato interseca le lamelle secondo archi di cerchio, archi di ellissi o ellissi a seconda dell’obliquità del taglio e, soprattutto, della regolarità e continuità del bordo distale delle lamelle.
Fig. 6. — Esemplari in sezione longitudinale (a sinistra) e trasversale (a destra). Nell’esemplare in sezione longitudinale una giovane guaina (più sottile) prolunga quella più vecchia (più robusta).
Fig. 7. — Esemplare arcuato in sezione assiale (a sinistra) e esemplare in se¬ zione obliqua (a destra). Nell'esemplare di sinistra la guaina, in vivo, si ruppe a causa del piegamento notevole del filamento mettendo a nudo il tricoma nella porzione convessa verso l'esterno; successivamente, si formò una nuova guaina sottile a difesa della porzione nuda del tricoma.
Fig. 1 |
Preparato A.1019.8 |
Fig. |
6 Preparato A. 1041.4 |
|||
» 2 |
» |
A. 1041.3 |
» |
7 |
» |
A. 1041.6 |
» 3 |
» |
A. 1041.8 |
» |
8 |
» |
A. 1041.6 |
» 4 |
» |
A. 1049.8 |
» |
9 |
» |
A. 1049.3 |
» 5 |
» |
A. 1041.6 |
» |
10 |
» |
A. 1049.3 |
Per tutte le figure:
Età. Senoniano inferiore-medio (zona a Accordiella conica e Moncharmontia apenninica ).
Località. Versante meridionale di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in provincia li Salerno (tav.: 185 II SE - S. Cipriano Picentino); A. 1019 alla quota di circa 780 m.; A. 1041 all quota di circa 825 m.; A. 1049 alla cima del rilievo (q. 837 m).
Ingrandimento. Circa 172 x.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus kotori, eco. Tav. IV
•&: f'tì
TAVOLA V
Aeolisaccus kotori Radoicic
Ramificazione laterale semplice dei filamenti
Figg. 1-2. — Esemplari in sezione longitudinale. Nella porzione mediana-inferiore di ogni esemplare il vano della guaina si dilata localmente a spese dello spessore delle pareti. Probabilmente, questo fenomeno è da mettere in relazione con lo stadio iniziale del processo di ramificazione quando il tricoma del ramo in via di formazione sta per perforare la guaina del genitore.
Figg. 3-6. — Esemplari in sezione longitudinale (fig. 6), lorigitudinale-obliqua (figg. 3-4) e obliqua (fig. 5) che mostrano un breve (tranne fig. 5) ramo laterale. Apparentemente sembra trattarsi di ramificazione laterale vera a causa della continuità del vano della guaina del filamento genitore sia prima che dopo il « piede » della ramificazione. Tuttavia non è da escludere che possa trattarsi di falsa ramificazione (vedi spiegazione nel testo).
Figg. 7-9. — Esemplari in sezione longitudinale e longitudinale obliqua (fig. 9)
ramificati testo). |
con |
falsa ramificazione |
laterale semplice |
(vedi |
spiegazione |
Fig. 1 Preparato A. 1041. 8 |
Fig. 6 Preparato A. 1041. 8 |
||||
» 2 |
» |
A. 1041. 12 |
» 7 |
» |
A. 1041.8 |
» 3 |
» |
A. 1041.4 |
» 8 |
» |
A. 1041.8 |
» 4 |
» |
A.104L5 |
» 9 |
» |
A. 1049.1 |
» 5 |
» |
A. 1049.7 |
Per tutte le figure:
Età. Senoniano inferiore-medio (zona ad Accordiella conica e Moncharmontia apenninica).
Località. Versante meridionale del Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in provincia di Salerno (tav. 185 II SE - S. Cipriano Picentino); A. 1041 alla quota di circa 825 m.; A. 1049 alla cima del rilievo (q. 837 m).
Ingrandimento. Circa 172 x.
oli. Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus kotori, eco . Tav. V
TAVOLA VI
Aeolisaccus kotori Radoicic
Fig. 1. — Sezione longitudinale di un lungo frammento ondulato di guaina. La sezione decorre più o meno assialmente nelle porzioni inferiore e superiore della guaina; decorre nello spessore delle pareti della guaina nella porzione mediana. Il frammento comprende l'estremità distale della guaina che è chiusa verso l'esterno e provvista, probabilmente, di una eterocisti terminale.
L’esemplare risulta rotto in frammenti più piccoli probabilmente a causa di assestamenti penecontemporanei del sedimento in cui era inglobato.
Fig. 2. — Sezioni trasversale e longitudinale di esemplari del Cenomaniano (zona a Sellialveolina viallii Colalongo).
Fig. 3. — Sezione longitudinale di un esemplare del Paleocene (zona a Spirolina spp. in Sartoni & Crescenti, 1962).
Figg. 4-5. — Sezioni subassiale obliqua (fig. 4) e subtrasversale (fig. 5) di esem¬ plari dell'Aptiano superiore (o dell’Albiano inferiore).
Fig. 1 Preparato A. 1012.1: |
età: |
Turoniano Senoniano inf. |
|
» 2 » |
A. 1992.1 |
» |
Cenomaniano |
» 3 » |
A.2871.X.1 |
» |
Paleocene |
» 4-5 » |
A. 1740.1 |
» |
Aptiano sup. (o Albiano inf.) |
Località . Campione A. 1012: alla quota di circa 860 m del versante meridionale di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in provincia di Salerno (tav. 185 II SE - S. Cipriano Picentino). Campione A. 1992: alla quota di circa 320 m. del versante occidentale di Monte Cerreto, presso Tuoro in provincia di Caserta (tav. 172 II SE-Caserta). Campione A.2871.X : versante sud-occidentale di Monte Vesole (un centinaio di metri ad ovest del km. 14 ed a monte della strada) (tav. 198 III SE-Trentinara). Campione A. 1740: alla quota di circa 275 m del ver¬ sante occidentale di Monte S. Michele, presso Maddaloni, in provincia di Caserta (tav. 172 I SE-Caserta).
Per tutte le figure l’ingrandimento è di 172 x.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolìsaccus kotori, ecc. Tav. VI
TAVOLA VII
Calcarenite con matrice microcristallina, parzialmente in via di ricristalliz¬ zazione, e con clasti rappresentati esclusivamente da resti organici. I fossili dello strato da cui proviene il preparato sono rappresentati prevalentemente da rudiste, forami ni feri bentonici ed alghe. I foraminiferi sono costituiti da forme a guscio calcareo microgranulare ( Moncharmontia apenninica De Castro) e da forme a guscio porcellanaceo ( Miliolidae , tra cui Nummoloculina sp., Quinqueloculina sp. e, forse, T riloculina sp.). Le alghe sono rappresentate da cianoficee filamentose ( Aeolisaccus kotori Radoicic) e da alghe verdi planctoniche dell’ordine Volvocales ( Thaumato por ella parvovesiculifera (Raineri)).
Nella figura si riconoscono Aeolisaccus kotori, Thaumatoporella parvovesicu¬ lifera e miliolidi.
Preparato : A. 1049. 15.
Età. Senoniano inferiore-medio (zona ad Accordiella conica e Moncharmontia apenninica ).
Località. Cima (q. 837) di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in pro¬ vincia di Salerno (tav. II SE - S. Cipriano Picentino).
Ingrandimento. Circa 52 x.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus kotori , ecc. Tav. VII
TAVOLA Vili
Calcarenite con matrice microcristallina, parzialmente in via di ricristalliz¬ zazione, e con clasti costituiti esclusivamente da resti organici. I fossili dello strato da cui proviene il preparato sono rappresentati prevalentemente da rudiste, foraminiferi bentonici ed alghe. I foraminiferi sono costituiti da forme a guscio microgranulare ( Moncharmontia apenninica De Castro) e da forme a guscio por- cellanaceo ( Miliolidae , tra cui N liminolo culina sp., Quinqueloculina sp. e, forse, Triloculina sp.). Le alghe sono rappresentate da cianoficee filamentose ( Aeolisaccus kotori Radoicic) e da alghe verdi plantoniche dell’ordine Volvocales ( Thaumato - por ella parvovesiculifera (Raineri)).
Nella figura si riconoscono Aeolisaccus kotori, Thaumato por ella parvovesi¬ culifera e miliolidi.
Preparato . A. 1049. 14.
Età. Senoniano inferiore-medio (zona ad Accordiella conica e Moncharmontia apenninica ).
Località. Cima (q. 837) di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in pro¬ vincia di Salerno (tav. : 185 II SE - S. Cipriano Picentino).
Ingrandimento. Circa 52 x.
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975
Df. Castro P. - Osservazioni su Aeolìsaccus kotori, ecc. Tav. Vili
TAVOLA IX
Calcarenite con matrice microcristallina, parzialmente in via di ricristalliz¬ zazione, e con clasti costituiti esclusivamente da resti organici. I fossili dello strato da cui proviene il preparato sono rappresentati prevalentemente da rudiste, foraminiferi bentonici ed alghe. I foraminiferi sono costituiti da forme a guscio microgranulare ( Moncharmontia apenninica De Castro) e da forme a guscio por- cellanaceo ( Miliolidae , tra cui Nummoloculina sp., Quinqueloculina sp. e, forse, Triloculina sp.). Le alghe sono rappresentate da cianoficee filamentose ( Aeolisaccus kotori Radoicic) e da alghe verdi plantoniche dell’ordine Volvocales ( Thaumato - por ella parvovesiculifcra (Raineri)).
Nella figura si riconoscono Aeolisaccus kotori e Moncharmontia apenninica.
Preparato. A. 1049. 10.
Età. Senoniano inferiore-medio (zona ad Accordiella conica e Moncharmontia apenninica).
Località. Cima (q. 837) di Monte Tobenna, presso S. Mango Piemonte in pro¬ vincia di Salerno (tav. : 185 II SE - S. Cipriano Picentino).
Ingrandimento. Circa 94 x
Boll. Soc. Natur. in Napoli, 1975
De Castro P. - Osservazioni su Aeolisaccus kotori , ecc . Tav. IX
Boll. Soc. Natur. in Napoli
voi. 84, 1975, pp. 119-137 , fig. 4, tab. 2
Una malacofauna post-tirreniana dei dintorni di Taranto
Nota di A. D'Alessandro (*) e A. Laviamo (*) presentata dai soci G. Ricchetti e V. Campobasso
(Tornata del 29 novembre 1974)
Riassunto. — Nella presente nota viene descritta la malacofauna di un li¬ vello sabbioso-calcareo post-tirreniano dei dintorni di Taranto. All’elenco delle specie determinate, seguono considerazioni paleoecologiche e cronologiche.
Summary. — The Authors describe a malacofauna gathered, near Taranto, in sandy-calcareous sediments; this faune is post-thyrrenian in age. From thè fossil assemblage thè Authors besides draw same paleoecological conclusions.
Il presente lavoro si inquadra nelTambito delle ricerche paleogeo¬ grafiche sui depositi plio-pleistocenici della Puglia, avviate già da qualche anno da parte di alcuni ricercatori dellTstituto di Geologia e Paleontologia di Bari.
In particolare, vengono qui esposti i risultati di uno studio paleoeco¬ logico condotto su una malacofauna contenuta in sabbie calcaree affio¬ ranti in corrispondenza di una modesta trincea stradale, aperta di recente presso il Km 2 della litoranea che percorre la fascia costiera orientale del Mar Grande, fra Taranto e la stazione balneare di Praia a Mare (Fig. 1). I depositi sabbiosi contenenti la malacofauna studiata corrispondono a un breve ciclo sedimentario riferito genericamente al post-tirreniano (Mar- tinis e Robba, 1971; Ricchetti, 1972). Questi poggiano in trasgressione su una superficie di abrasione incisa su argille calabriane e su calcareniti tirreniane, situata intorno ai 7 metri sull'attuale livello del mare. Lo spes¬ sore massimo dei depositi sabbiosi post-tirreniani si aggira localmente sui tre metri (Fig. 2).
Il fronte di raccolta del giacimento è molto limitato, estendendosi per 34 m, su uno spessore non superiore al metro.
(*) Istituto di Geologia e Paleontologia, Università di Bari.
120 A. D’Alessandro e A . Laviano
I fossili osservati direttamente sul terreno, non mostrano un’appa¬ rente orientazione, sono in ottimo stato di conservazione tanto che spesso
Fig. h — Ubicazione della località fossilifera. F° 202 Taranto (Parte della zona sud-occidentale).
conservano ancora il colore, e appartengono per la quasi totalità, ai ge¬ neri Cyclope, Tellina e Mactra; i lamellibranchi risultano quasi sempre a valve appaiate.
10
1 Sabbie calcaree (Post-tir remano)
2 Calcareniti a Strombus (Tirreniano)
3 Argille subappennine (Cai ab riano)
Fig. 2. — Sezione geologica schematica.
Una malacofauna post-tir reniana dei dintorni di Taranto 121
Oltre al materiale fossile raccolto in campagna» è stato studiato quello ottenuto dal residuo di lavaggio di alcuni campioni. La fauna» piuttosto scarsa» è mescolata a piccoli frammenti di molluschi e di echini» molto usurati, derivati con tutta probabilità dal disfacimento dei depòsiti di età tirreniana.
Segue l'elenco delle specie cui sono riferibili gli esemplari studiati. La classificazione adottata è, fondamentalmente, la stessa usata da Mala- testa (1974).
Diodora' italica (Deframce 1820)
(tav. 1» fig. 10)
1820 » Fissurella italica Defrance, Dict. Se. Nat. (17), p. 79;
1974 - Diodora ( Diodora ) italica Malatesta» Mero. Descr. C.G.L (13), p. 162, t. 13» fi, 2 (cum syn.).
Gibbuta ( Colliculus ) adansoni (Payraudeau 1826)
(tav. 1, fig. 9)
1826 » Trochus adansoni Payraudeau, Cat. Moli. Corse, p. 127, t. 6» ff. 7-8; 1960